Presentazione del coordinatore del Circolo
Prof. Leonardo Gallotta
Sul numero 399 della nostra rivista Cristianità è comparso l’articolo di Antonio Casciano, «Ecologismo ambientale di massa» ed «ecologia umana integrale». Paradigmi a confronto, su cui mi baserò per queste parole introduttive.
Da anni vengono fatti degli incontri e conferenze internazionali sul tema dell’ambiente e addirittura ci si è spinti molto in là in Europa e nel Sudamerica con diversi documenti tra cui spicca la Dichiarazione di Montevideo in Uruguay sulla «cittadinanza ambientale», sottoscritta anche dal Parlamento di quel Paese nel 2007.
Nelle Costituzioni di Ecuador e Bolivia, del 2008 e 2009, «sono stati disciplinati per la prima volta presunti “diritti della natura”, considerata non più l’oggetto, bensì il soggetto di situazioni giuridiche attive, inaugurando così un nuovo capitolo nella storia del diritto ambientale e dello sviluppo sostenibile».
«La scommessa del nuovo costituzionalismo andino sperimentato in Ecuador e Bolivia suppone una visione cosmo-centrica nella quale l’uomo, lungi dall’essere il centro, riveste con coscienza e consapevolezza un ruolo eminentemente passivo e subordinato rispetto all’ordine esterno delle cose, tanto da riconoscere alla natura, alla Madre Terra, alla Pacha mama, la titolarità soggettiva di diritti e situazioni giuridiche attive».
In un articolo pubblicato sul Foglio quotidiano, Eugenio Capozzi richiama questi concetti nell’articolo Ideologia climatista — concetti che già in passato Peter Singer e altri avevano espresso — secondo cui «sarebbe proprio l’uomo il virus più nocivo per una natura altrimenti autoconservativa e bastevole a se stessa. In ogni caso […] un certo tipo di ecologismo inizialmente e tuttora alimentato d ambienti neo-malthusiani tecnocratici si sta trasformando in una religione millenarista alimentata dal relativismo».
Contrapposto a questa tendenza è il richiamo di Benedetto XVI, che nella Caritas in veritate dice: «È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri verso l’ambiente si collegano con i doveri verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri».
Introduzione al tema dell’ambientalismo
(prima parte)
Ing. Lucia Martinucci
È da quando mi interesso di questi temi che noto quanto sia un mondo vasto, ma le radici da cui ne nascono i presupposti sono sempre le stesse. Anche oggi, facendo un discorso più di inquadramento e più di premesse che non di approfondimento su un singolo aspetto, diremo in un certo senso “sempre le stesse cose”. Pensando da che parte approcciare un discorso su ecologia e ambientalismo, mi sono chiesta se partire dall’attualità, e che titolo – quindi che “centro” – dare a questo incontro: avendo anche letto qualcosa di nuovo, era meglio parlare di ecologia o di ecologismo, di ambiente o di ambientalismo, di Greta Thunberg o di cambiamenti climatici in generale? È evidente che ci sono mille sfaccettature, soprattutto quando ci si riferisce a tutte queste cose da un punto di vista più tecnico.
Proprio il punto di vista “tecnico” – pur non essendo, a mio parere, il punto di partenza – merita una breve parentesi.
Certamente esso è fondamentale per poter parlare di questi temi con cognizione di causa; per citare correttamente gli studi e i risultati, per utilizzare validamente la terminologia che è, come per ogni ambito, specifica e non sempre corrispondente al significato colloquiale di alcune parole.
Sbagliare i termini sarebbe un errore che non ci si può permettere per una trattazione seria: in nessun ambito, mai, ma specialmente in questo, che ha un’aura di scienza che vorrebbe essere sinonimo di oggettività. Ci sono infatti dei dati scientifici che, per essere tali, vorrebbero essere presi come oggettivi assoluti; purtroppo, però, non lo sono. Ho scoperto di recente che la comunità scientifica è molto divisa. Ciò non dovrebbe sorprendere, visto che la conoscenza scientifica stessa va avanti per interrogativi, quasi cercando una prova contraria per mettere in discussione le tesi e trovarne il limite: è quando si scopre dove “non funziona” una certa modellazione del reale che si ottiene ciò che si può ritenere vero. Da una parte, il “pensiero dominante” o “politicamente corretto” appiattisce questa vivacità della comunità scientifica, dando le informazioni a senso unico e mostrando una concordia che sarebbe letale, ma che ci dà la percezione che “tutti” siano sicuri che – per dirlo con esempi concreti – i ghiacci si stiano sciogliendo, che le cause di questi cambiamenti siano certamente univoche, eccetera (questo nel campo dei cambiamenti climatici, ma gli esempi sarebbero numerosi). Così facendo, tra l’altro, si stigmatizza chi ha dei dubbi in merito.
Dall’altra parte, anche il dibattito è sempre meno guidato da un approccio di verità e sempre più viziato da un pre-giudizio ideologico, e quindi svolto in maniera dialettica. Questo è possibile anche in ambito scientifico, quando non si cerca la legge che regola un dato di natura osservato, ma si vuol trovare, nell’osservazione della realtà, quello che può confermare una tesi di fatto già decisa e assunta come verità.
Quindi, diversamente da quanto può apparire, la comunità scientifica – per fortuna – dibatte, e a tal punto che, anche in presenza degli stessi dati – ad esempio un valore rilevato della temperatura, che è un dato certo, “oggettivo” – vengono formulate tesi diverse e si giunge a conclusioni molto diverse, si ipotizzano conseguenze diverse, si traggono leggi e soprattutto previsioni per il futuro diverse.
Ora, la proverbiale “palla di cristallo” non ce l’ha nessuno; ricordo all’Università che parlando di interpolazioni e previsioni (cioè studio di dati per scoprire un andamento e prevedere quale sarà il successivo) si sottolineava molto anche l’impatto economico che questo può avere; in altre parole, chi riesce meglio degli altri a sapere che tempo farà domani, diventa ricco.
Ma dicevamo che, pur avendo a disposizione gli stessi dati iniziali, si possono trattare in maniera diversa, tanto da arrivare a conclusioni opposte. Bisogna ammettere quindi, una volta di più, che il dato può essere oggettivo, ma lo scienziato non lo è: a seconda di come guarda i dati, di quali sceglie come significativi e quali invece scarta come non significativi, sta “mettendo in mezzo” una sua interpretazione, una sua visione del mondo. Questa è comunque fondamentale, specialmente se è vero che i “ricercatori” spesso mirano a confermare le loro tesi preconfezionate invece di cercare spassionatamente la verità.
I dati dell’IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change – Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici] riguardanti gli anni passati ci dicono che — forse — c’è un cambiamento della temperatura globale (nel senso del globo terrestre) media, ma gli esperti sono molto in disaccordo sul suo significato e sulle sue cause, cioè: 1. se effettivamente ci sia — la maggioranza afferma di sì, ma non tutti sono di questo avviso —, 2. se sia un bene o un male — alcuni argomentano dicendo che le epoche di maggior sviluppo della civiltà e del benessere sono state quelle in cui la temperatura era più mite, non certo le ere glaciali —, 3. se sia possibile attribuire “la colpa” o “il merito” di questo cambiamento ad attività umane.
Secondo alcuni sembra scontato rispondere “tre sì”: la temperatura si sta alzando, è un male, è colpa dell’uomo; ma non è l’unica teoria possibile: altri, ad esempio, obiettano che l’attività delle macchie solari hanno molta più influenza di ogni possibile attività umana. Recentemente è stata inviata una sonda che tra circa due anni orbiterà intorno al Sole per fornire nuovi dati e immagini delle macchie solari, quindi potrà iniziare un nuovo studio anche legato alla climatologia (in questo campo bisogna avere molta pazienza, i tempi sono piuttosto allungati), ma già si conosce la loro grande influenza sui cambiamenti climatici della Terra. Ulteriori dati saranno di aiuto per confermare o smentire teorie e ipotesi, sempre se gli scienziati sapranno leggerli in spirito di verità e non in modo ideologico.
Premesso quindi che il “problema” (ammesso che lo sia) è posto in modo così diverso, anche le proposte per risolverlo sono alquanto diverse, anche se al grande pubblico giungono soltanto quelle di una certa parte, cioè di chi addossa ogni colpa all’uomo “cancro del pianeta”, alle attività industriali, alla civiltà occidentale basata sulla religione cristiana e sulla signoria dell’uomo sul creato. Sono ambiti solo in apparenza scollegati tra loro; non possiamo dimenticare i princìpi filosofici da cui è nato il movimento ambientalista. A questo proposito, c’è chi arriva a formulare teorie sulla necessità di una volontaria autoestinzione dell’umanità in nome del superiore interesse della Madre Terra. Non si tratta di innocui vaneggiamenti: sono state fondate apposite associazioni con questa finalità, tra cui ad esempio negli Stati Uniti la “Urban Death Project”, che prevede la creazione di luoghi in cui produrre concime attraverso i resti umani, perché ciascuno di noi possa scegliere di diventare concime organico dopo la morte, “ripagando” in questo modo il “debito”, in forma di sfruttamento delle risorse, contratto nei confronti del pianeta (1).
Si tratta di un ribaltamento completo della prospettiva, tanto che questo amore per il pianeta, per la natura, per gli animali, per l’ecosistema, si rivela un falso amore, poiché se non è in un quadro di verità e di ordine – cioè di amore per le cose per come sono veramente – è falso, è falsificato, è falsificante sia per chi lo dà che per chi lo riceve. È giusto amare gli animali, ma vestire un cane come un bambino è sbagliato: è sbagliato per l’animale stesso, perché non rispetta la natura del cane, come è sbagliato prendere un vaso da notte e farne un vaso da fiori e come è sbagliato prendere un vaso da fiori e farne un vaso da notte. La giustizia nei confronti del vaso da fiori consiste nel metterci i fiori dentro (e quella nei confronti del vaso da notte.. beh è il suo uso..).
Il punto principale, allora, è far ripartire il dibattito da una dimensione di verità, una verità sull’uomo (e qui mi riallaccio alla presentazione del coordinatore prof. Gallotta) e di verità sull’uomo nei confronti dei suoi rapporti con quello che gli sta intorno, che possiamo chiamare “creato”.
È vero che chiamarlo “creato” ci pone già in un’ottica in un certo senso religiosa, perché se si parla di “creato” vuol dire che è stato creato da Qualcuno, e che c’è un Creatore.
Oggi l’ambiente scientifico ha una pretesa oggettività che si traduce in assoluta laicità (o forse laicismo), cioè rifiuto di un discorso religioso. Come dicevamo, questa prospettiva è riduttiva per l’uomo, che invece è un essere intrinsecamente religioso.
Questo rende di solito più difficile partire da un discorso di radice, sulla verità sull’uomo e l’ambiente, e usare termini come “creato” e “Creatore”.
Personalmente, quando mi sono trovata a parlare di questi argomenti con persone che non hanno una visione religiosa e spirituale, li ho evitati; però, anche senza usare esplicitamente queste parole, la cosa importante è non cadere nel dibattito dialettico, che parte già da premesse sbagliate e non può portare a niente di buono – così come si fa tra “ambientalisti contro ambientalisti” –, ma tenere molto chiare e salde le categorie di verità: aver chiari quei fondamenti che ci dicono che cos’è l’uomo, che cos’è il creato, che c’è un Creatore, in che rapporti sono, ecc… È vero che non sono tutti d’accordo e questi princìpi non sono condivisi: serve sempre averli presenti, e riferirsi costantemente ad essi anche quando si usano termini che esplicitamente non possono dire tutta la loro verità. In questo senso non significa attenersi al politicamente corretto, ma semplicemente parlare un linguaggio che possa essere compreso anche da chi non ha una prospettiva religiosa, ma che si sottrae a quella dialettica che porterebbe comunque su un falsopiano.