56. Settembre 2021
Cari amici,
il 2 giugno di quest’anno Alleanza Cattolica in Ferrara ha svolto un ritiro — nella chiesa di Santa Chiara con l’assistenza del rettore don Davide Benini — sul tema della regalità di Nostro Signore.
Vi proponiamo in questo numero di IN HOC SIGNO l’introduzione del prof. Leonardo Gallotta, leggermente rivista dall’autore.
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Il Vangelo del Regno di Dio nell’esegesi di Benedetto XVI
di Leonardo Gallotta
L’annuncio del Regno di Dio è il terzo dei Misteri luminosi istituiti da San Giovanni Paolo II. Le considerazioni che seguiranno hanno come base il capitolo terzo del volume Gesù di Nazaret di Benedetto XVI. Ad esso prevalentemente mi rifarò, sicuro di avere le spalle coperte da colui che è stato definito “il più grande teologo del Novecento”, con la speranza che le riflessioni proposte siano di utilità per la meditazione, al giovedì, del terzo mistero luminoso del Santo Rosario.
Dice l’evangelista Marco: «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il Vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo». Questo annuncio, la vicinanza cioè del Regno di Dio rappresenta il centro della parola e dell’attività di Gesù. Si pensi che nel Nuovo Testamento l’espressione “Regno di Dio” ricorre 122 volte. Ora nella storia della Chiesa come è stata interpretata la parola “regno”? La prima dimensione interpretativa è cristologica. Origene ha denominato Gesù autobasilèia, cioè il regno in persona. Gesù stesso è “il regno”. Il regno non è una cosa, non è uno spazio di dominio come i regni del mondo. È persona, è Lui e con Lui è presente Dio stesso in mezzo agli uomini. Egli è la presenza di Dio.
La seconda linea interpretativa potremmo definirla idealistica o anche mistica: essa vede il regno di Dio collocato essenzialmente nell’interiorità dell’uomo. Sempre Origene, nel suo trattato Sulla preghiera dice: «Chi chiede nella preghiera l’avvento del regno di Dio, prega senza dubbio per quel regno di Dio che egli porta in se stesso e prega perché questo regno porti frutto e giunga alla sua pienezza». E ancora San Paolo nella Lettera ai Romani: «Se dunque vogliamo che Dio regni in noi, non deve in nessun modo regnare il peccato nel nostro corpo mortale». E allora, come si dice in Genesi, «Dio passeggerà in noi come in un paradiso spirituale». L’idea di fondo è chiara: il regno di Dio non si trova in qualche parte sulla carta geografica. Non è un regno alla maniera dei regni del mondo: il suo luogo è l’interiorità dell’uomo. Lì cresce e da lì opera.
La terza linea interpretativa, sviluppatasi soprattutto nel XIX secolo e agli inizi del XX, individuava nella Chiesa il regno di Dio sulla terra. La Chiesa era cioè considerata come la realizzazione del regno all’interno della storia. Queste sono le tre linee interpretative fondamentali, ma agli inizi del XX secolo prese anche piede una teologia liberale proposta dal protestante Adolf von Harnack per il quale l’annuncio di Gesù sarebbe stato rigorosamente individualistico. Egli si sarebbe rivolto alla singola persona e il suo messaggio sarebbe stato orientato in senso prevalentemente morale. Altra linea interpretativa fu quella escatologica. La vicinanza del Regno di Dio avrebbe significato l’annuncio della fine del mondo. Ma, dice Benedetto XVI, tale tesi si basa su delle forzature dei testi evangelici che la rendono poco solida.
Infine c’è l’interpretazione secolaristica del concetto di “regno”. Si è passati dall’ecclesiocentrismo pre-conciliare al cristocentrismo e poi al teocentrismo, ma siccome anche Dio può essere un elemento di divisione tra le religioni e tra gli uomini, si è fatto il passo verso il regnocentrismo, cioè verso la centralità del regno. “Regno” significherebbe semplicemente un mondo in cui regnano la pace, la giustizia e la salvaguardia della creazione. Per tale regno dovrebbero collaborare tutte le religioni. Un punto emerge su tutte queste «chiacchiere» utopistiche prive di contenuto reale (testuale nel testo di Benedetto XVI): Dio è sparito e chi agisce ormai è soltanto l’uomo. Ora, dice Benedetto XVI, la vicinanza di questa visione post-cristiana della fede alla terza tentazione di Satana a Gesù «è veramente inquietante».
Torniamo ora al concetto stesso di regno di Dio, ricordando che il termine ebraico equivalente a “regno” è malkut che significa signoria ed anche esercizio della signoria. Ma il regno dei Vangeli a che cosa è paragonato? Al granello di senape, al lievito, alla semente gettata nel campo e che subisce destini diversi. E ancora il tesoro nascosto nel campo e la perla preziosa per cui si vende tutto pur di averla.
L’evangelista Luca ci dice che Gesù, interrogato dai farisei, alla domanda: “Quando verrà il regno di Dio?” risponde: «Il regno di Dio non viene in modo che lo si possa osservare e nessuno dirà “Eccolo qui. Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi». La maggior parte degli esegeti ritiene che con queste parole Gesù si riferisca a se stesso. Insomma la signoria di Dio e la sua vicinanza altro non sono che Gesù stesso. È lui il tesoro nascosto nel campo, è lui la perla preziosa. Ed è a partire dal riconoscimento della sua signoria (il regno) che si ampliano e si diffondono le prime comunità cristiane. E la sua signoria, bisogna ben ricordarlo, non è di questo mondo, ma si esercita su questo mondo, perché Lui è al di sopra, è più che re: è il Re dei re.
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Ad maiorem Dei gloriam et socialem
Alleanza Cattolica in Ferrara