60. Gennaio 2022
Cari amici,
il 20 novembre 2021 Alleanza Cattolica in Ferrara ha organizzato un incontro svoltosi nella chiesa parrocchiale cittadina di Santo Spirito sul tema della Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Due gli interventi, presentati dal parroco padre Massimiliano Degasperi F. I.: il primo di Renato Cirelli e il secondo di padre Immacolato Acquali, anch’egli Francescano dell’Immacolata ed ex parroco della stessa parrocchia. Ha infine concluso con un breve intervento il dirigente di Alleanza Cattolica prof. Leonardo Gallotta.
Vi proponiamo in questo numero di IN HOC SIGNO il testo — tratto dalla registrazione audio e non rivisto dall’autore — della prima parte dell’intervento di padre Immacolato Acquali F. I.
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padre Immacolato Acquali F. I.
20 novembre 2021 – chiesa di Santo Spirito
La regalità sociale
di Nostro Signore Gesù Cristo
1. La natura teandrica della Chiesa
Per affrontare il tema della regalità noi francescani ci riferiamo all’analogia che parte dall’alto — non come fanno i tomisti che partono dal basso — ed è una delle proprietà più belle e più interessanti del modo di pensare della teologia francescana. Quindi la prima regalità che celebriamo e che vogliamo conoscere, che è il fondamento di tutte le altre e alla quale tutte le altre si riagganciano per analogia è quella di Dio dall’eternità.
La divinità, Dio in tre Persone che regge e muove tutto ciò che esiste verso il suo fine ultimo. Lo muove in modo diverso perché ci sono realtà che non hanno capacità di operare una libera scelta; che hanno soltanto il libero arbitrio il quale, sappiamo, non è perfetta libertà; ecco perché esiste anche la politica, che non esiste in paradiso. In paradiso noi non avremo questo tipo di attività perché lì non esiste il libero arbitrio, esiste solo una libertà perfetta, perfettamente assorbita dal bene assoluto che è Dio, quindi lì non c’è un bene e un male fra cui discernere.
Sulla terra noi siamo “in via”: abbiamo il bene, abbiamo il male, siamo attratti molto dal bene ma attratti molto anche dal male. Il fatto che il nostro libero arbitrio si deve costruire ogni giorno per diventare sempre più libertà è essenzialmente il cammino che abbiamo davanti e che ci aiuta a liberarci dalla zavorra del libero arbitrio per diventare sempre più autenticamente liberi ed è una delle manifestazioni del perché c’è un riverbero sociale della regalità di Cristo.
Ecco perché la salvezza eterna ha a che fare con la dimensione sociale. C’è una regalità quindi eterna e c’è una regalità temporale. Per noi cristiani la prima è pacifica: siamo credenti ed è chiaro che c’è una regalità universale di Dio.
C’è poi una regalità temporale. Regalità non vuol dire ovviamente in modo specifico una monarchia, essa è la potestà di governo, di un governo legittimo che nella sua realizzazione temporale ha il fine di guidare a perfezione la realtà terrena che legittimamente regge con il suo governo, con la sua capacità di giudicare, con la sua capacità di dare delle leggi che quindi guida l’uomo al suo fine terreno. Pace, giustizia, rispetto della dignità umana e così via: è il bene comune, come lo definisce la Chiesa.
C’è un anello di congiunzione nella regalità, nella potestà, che è la natura teandrica della Chiesa: divina e umana, che è la natura di Cristo, che partendo dai princìpi soprannaturali entra in quelli naturali per muoverli al suo fine soprannaturale. Ed è questa natura teandrica il tassello fondamentale, quello anche sul quale ovviamente nel cammino della cristianità, all’interno e in ciò che la cristianità ha incontrato in questi duemila anni, ha determinato poi i problemi, le sfide, i vantaggi e gli svantaggi.
Che esista un potere temporale è pacifico per tutti, cristiani, musulmani, laici, radicali, comunisti.
Che esista una regalità assoluta di Dio è pacifico per i cristiani, per essi non è difficile da comprendere, è una verità palese, ovviamente è la base del Credo, ma il raccordo fra le due, come sempre accade nella storia della Chiesa, anche in tutte le eresie, gli scismi, la difficoltà è sempre il tenere insieme l’infinito con il finito che è la radice di tutti i problemi. Nessuno dei due fa problema di per sé, ma la loro unione lo fa: pensare l’infinito e il finito insieme è complicato e c’è sempre il rischio di dare troppo peso all’uno dimenticandosi dell’altro e così via… normalmente si tende a dimenticare più facilmente l’infinito.
Ma da questa natura teandrica della Chiesa e quindi anche della regalità di Dio — e di Gesù Cristo in quanto uomo — si aprono diversi profili critici. È lì che è difficile discernere, operare, scegliere.
La dimensione sociale della salvezza in realtà si estrinseca in due profili. La dimensione sociale della salvezza è intrinseca alla Chiesa. Noi siamo salvati in quanto popolo, quindi già all’interno della Chiesa c’e una socialità. Noi non ci salviamo individualmente — perciò siamo cattolici, non strettamente parlando protestanti — la nostra salvezza non può mai esaurirsi in un rapporto puramente personale fra la persona e Dio. Noi siamo salvati all’interno di un popolo. Questo è vero nella Nuova Alleanza tanto quanto è stato vero nella Antica Alleanza, dove la salvezza si è comunicata attraverso l’appartenenza anche etnica ad un popolo. Dio non ha comunicato se stesso a degli individui, ma ad un popolo, ha creato un popolo, ha voluto concentrare la proposta di salvezza in una nazione specifica, e questo ci aiuta anche a capirne l’importanza.
Infatti tutte le nazioni sono transeunti; non è detto che l’Italia, la Francia, la Germania o la Russia o la Cina fra mille anni esisteranno ancora, e questo ci aiuta a capire anche la contingenza del politico che non è mai una cosa fissa ma contingente, e questo ha una importanza enorme, anche per non cadere in un pessimismo eccessivo. La salvezza incontra il sociale, incontra il politico, ne ha bisogno, ma è distinta da esso, non realizza le sue condizioni essenziali necessariamente attraverso di esso.
Quindi noi siamo salvati all’interno di un popolo. La dimensione sociale della salvezza è intrinseca alla Chiesa ed è anche estrinseca alla Chiesa, perché l’essere cristiani implica una dimensione pubblica della mia appartenenza alla Chiesa che è un costitutivo essenziale dell’appartenere alla Chiesa stessa. È una proprietà essenziale senza la quale cessa l’appartenenza cristiana. Non posso dire “tengo per me una verità” relativa alla mia fede in assoluto senza mai necessariamente renderla pubblica o senza mai intervenire, perché essendo la Chiesa di natura teandrica ed essendo la salvezza proposta in modo divino-umano, il divino entra per essenza nell’umano, non può essere da esso distinto perché la verità del cristianesimo si estrinseca anche in verità, sviluppi che si realizzano nella dimensione pubblica, collettiva, politica (non ovviamente in senso partitico ma in senso alto, nobile). Queste sono costitutive essenziali. La regalità sociale di Cristo è impensabile appunto (perciò la definiamo sociale) senza questo prolungamento teandrico dal divino all’umano.
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Ad maiorem Dei gloriam et socialem
Alleanza Cattolica in Ferrara