70. Novembre 2022
Cari amici,
recuperata una vecchia registrazione audio, purtroppo molto disturbata e in alcuni punti incomprensibile, abbiamo la possibilità di offrirvi finalmente un sunto dell’intervento che Giovanni Cantoni fece al convegno svolto a Ferrara il 1° marzo 2003 sul tema «La famiglia per la persona». Altri interventi dello stesso convegno sono stati pubblicati in questa stessa rubrica ai nn. 51, 52, 53, 54 e 55 e sono reperibili sul sito www.scuoladieducazionecivile.org.
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Sunto dell’intervento di Giovanni Cantoni
al convegno «La famiglia per la persona»
svolto a Ferrara il 1 marzo 2003
Dopo l’intervento di Marco Invernizzi, ricco di riferimenti culturali e di citazioni a documenti, volto a descrivere lo status societatis, la condizione in cui si trova la società, l’intervento di Giovanni Cantoni, come lui stesso ha spiegato d’esordio, si svolge su un altro piano, quello volto a fornire delle argomentazioni con rilevanza culturale di altro genere: quelle derivate dall’esperienza.
Confortato in questo dalla felice espressione «La dottrina sociale nasce da tre fronti: ex revelatione, ex ratione, ex experientia», cioè da quel tipo di considerazioni che possiamo trattare come “proverbiali”, inizia la sua riflessione dall’esperienza che ci viene nascosta: l’esperienza del nascere.
Innanzitutto osserva che la nascita “ospedalizzata” sembra una malattia: la nostra percezione della nascita è solo tardivamente gioiosa, ma d’esordio è già una percezione incerta e in qualche modo negativamente segnata dal fatto che normalmente avviene all’ospedale, e all’ospedale ci si va quando si è malati.
In autori come Orwell e Huxley si trovano molti spunti — in particolare di quest’ultimo consiglia “Il mondo nuovo” — per tante riflessioni.
Il problema non è solo quello della nascita, ma anche quello della morte: anche questo tendenzialmente cancellato. Vi sono luoghi in cui l’ospedale non è neppure indicato con la freccia e il funerale è fatto con grandissima velocità: deve rimanere soltanto la vita, ignorando anche come finiamo, non solo ignorando come nasciamo.
Per queste considerazioni Cantoni si fa guidare da un testo che definisce mirabile, straordinario, un testo che avrebbe potuto aver scritto un uomo qualsiasi, un “uomo della strada”: ma si tratta di uno scienziato dei suoi tempi, e ai suoi tempi gli scienziati erano signori che andavano in giro, e (forse su tavolette), prendevano appunti. E non si tratta di un cristiano ma di Plinio il Vecchio (morto nell’anno 79) — e questo fatto, dal punto di vista apologetico, è un pregio — un signore connotato da una grande curiosità, tanto che andò a vedere dentro un vulcano e mal gliene incolse.
Non avendo la possibilità di fare altro — per esempio, all’epoca gli esami chimici non erano ancora disponibili — il suo contributo fu puramente descrittivo: prendeva appunti che poi raccolse nella sua opera principale “Naturalis historia”. Nella parte intitolata “Antropologia e zoologia” egli dice: «Cominceremo a buon diritto da lui, in funzione del quale sembra che la natura sembra che abbia generato tutto il resto». Non è un Padre della Chiesa, ma la centralità dell’uomo rispetto al resto della Natura ce l’ha ben presente: uomo che non è un animale fra gli animali, ma un soggetto esotico rispetto agli animali che lo circondano. E non è un sant’Ambrogio, che descrive tutta la creazione che ha come meta l’uomo, partendo dalla Scrittura e dalla Rivelazione. Dice «sembra che la natura abbia generato tutto il resto» «…ma in cambio di doni così grandi un prezzo alto e crudele fino al punto che non è possibile dire con certezza se essa sia stata per l’uomo più una buona madre o una crudele matrigna». Oggi noi risponderemmo che non possedeva la nozione di peccato originale: buona madre, deformata dal peccato.
«In primo luogo [la natura] costringe l’uomo, unico fra tutti gli esseri viventi, a procacciarsi all’esterno i suoi vestiti. Agli altri, in vario modo, la natura fornisce qualcosa che li copra: gusci, cortecce, pelli, spine, peli, setole, piume, squame… anche i tronchi degli alberi li protegge dal freddo e dal caldo, con uno o talora due strati di corteccia. Soltanto l’uomo essa getta nudo sulla nuda terra».
Nudo sulla nuda terra. È un’espressione che viene ripresa nella descrizione della morte di san Francesco. Si fece mettere nudo sulla nuda terra. L’inizio e la fine. Ma l’inizio e la fine che non devono essere coperti neppure con argomenti da buoni figli di Noè: c’è sempre un po’ di sporcizia all’inizio e un cattivo odore alla fine. Ma è bene non coprire nulla: ci tappiamo forse un poco il naso oppure, se ci riusciamo, sopportiamo tutto il cattivo odore della nascita e della morte.
Quindi gli altri animali hanno già tutto, il poveretto niente: «[…] nudo sulla nuda terra. Il giorno della sua nascita, abbandonandolo fin dall’inizio ai vagiti e al pianto […] subito, dal primo istante della propria vita. Invece il riso, per Ercole, anche quello è precoce, il più rapido possibile, non è concesso ad alcuno prima del quarantesimo giorno». Sorride dopo! Si potrebbe dire che sorride soltanto quando ha acquisito la certezza che, dopo averlo chiamato, qualcuno lo accolga.
Bisognerebbe, tra le visite scolastiche, proporre la “visita al neonato”, che farebbe molto bene agli scolari, per rendersi conto di come si è “all’inizio”.
Ancora Plinio il Vecchio: «Che stoltezza quella di chi, dopo inizi siffatti, si ritiene destinato ad imprese superbe! Il primo barlume di vigore, il primo dono che il tempo gli concede lo rendono simile ad ogni quadrupede […] Quando comincia a camminare e a parlare come gli uomini? Quando la sua bocca diventa adatta a prendere il cibo? Quanto a lungo resta molle la sua testa, segno della massima debolezza fra tutti gli esseri viventi? E poi le malattie, e le tante medicine escogitate contro i mali, ma anch’esse vinte ben presto da nuove sciagure. Ed ogni altro essere segue la propria natura… […] l’uomo invece non sa far nulla, nulla che non gli sia insegnato; né parlare, né camminare, né mangiare, insomma per sua natura non sa far altro che piangere».
Quello di cui sta parlando Plinio il Vecchio è il caso di ciascuno di noi. È la nostra condizione. Ma all’uomo, che non sa far niente se non gli è stato insegnato — né parlare, né camminare, né mangiare — chi gli ha insegnato a parlare, a camminare, a mangiare? Chi gli ha impedito di morir di pianto nei primi giorni della sua esistenza? Chi si è atteggiato nei suoi confronti come habitat, accoglienza?
La chiamiamo famiglia. Può essere la sua famiglia naturale, cioè di sangue, o può essere qualche altra situazione, ma di fatto c’è qualcuno che ci deve accogliere; senza questo noi non ci saremmo. L’ultimo degli animali ha un imprinting, come dicono gli etologi: sa un sacco di cose! Infatti non va dalla mamma per chiederle “che cosa faccio adesso?”. Ha il suo progetto, l’ha inscritto in sé; noi non abbiamo inscritto nessun progetto, siamo capaci di tutto. Siamo, come qualcuno ha notato felicemente, l’unico animale in grado di nascere in qualunque punto sull’orbe terraqueo, mentre gli altri possono nascere o qui o lì; noi sia qui che lì… purché ci sia qualcuno che si occupi di noi. La famiglia è la struttura nella quale noi veniamo conservati in vita dopo essere stati messi al mondo.
È così fugace l’incontro tra lui e lei; quest’incontro un tempo nei codici di diritto canonico si diceva “remedium concupiscentiae”. Si sono messi insieme perché avevano delle urgenze, delle pulsioni; però poi si è visto che la “pulsione”… aveva le gambe! dopo nove mesi ha cominciato a piangere, e ha smesso di piangere soltanto quando qualcuno ha detto: “Va bene, va bene… ti tengo! Adesso che ci sei, ti tengo”. È il gesto che compiva il padre romano repubblicano quando sollevava il neonato da terra (nudo sulla nuda terra) lo prendeva e diceva “è mio, lo prendo io, faccio quest’atto di accoglienza”.
La famiglia ci insegna a vivere, cioè ci aiuta a vivere; per esempio ci insegna a mangiare. “Ma ce n’è bisogno?” Per questo è una esperienza da esercizi spirituali passare una giornata ad osservare un neonato. Il neonato ha bisogno di tutto. Qual è l’istituzione che risolve “full time”; che fa fronte ai suoi bisogni?
Bisogni non solo materiali, ma di ogni tipo. Diceva san Pio X: «Chi parlerebbe se sua madre non gli avesse parlato?». Questo è un elemento basilare, non secondario.
Salimbene da Parma racconta di un raccapricciante esperimento voluto da Federico II, il quale si chiedeva: “Il primo uomo in che lingua avrà parlato?” Prende dei bambini, li affida a delle balie alle quali ordina di nutrirli ma di non parlare loro. La storia racconta che i bambini morirono tutti, uno dopo l’altro, benché nutriti. Evidentemente tra i bisogni primari dell’uomo che nasce non ci sono solo quelli materiali.
La famiglia soddisfa questi bisogni in modo naturale e la società deve riconoscerlo stabilendo, anche nelle leggi, per essa il giusto ruolo.
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Ad maiorem Dei gloriam et socialem
Alleanza Cattolica in Ferrara