La vita politica: principio di autorità e democrazia
Lezione tenuta il 27 febbraio 2014
Prof. Leonardo Gallotta
Corso: «Il Magistero della Chiesa: vera risposta ai problemi della modernità anticristiana»
La vita politica: principio di autorità e democrazia
Il principio di autorità
Autorità e democrazia potrebbero sembrare due termini antitetici, ma, purchè ci si intenda bene sul loro significato e sui loro limiti, così non è.
Sul primo termine occorre innanzitutto fare una precisazione di tipo etimologico. Auctoritas in latino deriva dal verbo augeo, augere che significa aumentare, accrescere, ma anche elevare. Dunque un’auctoritas è una persona che si è elevata o è stata elevata sulle altre grazie alle capacità e competenze che ha manifestato di possedere nei diversi ambiti in cui si articola la società. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica che “si chiama autorità il titolo in forza del quale delle persone o delle istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano obbedienza da parte loro (1). Con questa definizione si attribuisce all’autorità non solo capacità e competenza, ma anche potere. Ulteriore caratteristica è poi quella dell’autorevolezza. Quest’ultima è infatti il carisma che viene riconosciuto all’autorità dai sottoposti che quindi obbediscono di buon grado. Se così fosse, ci si troverebbe in una situazione ottimale – vale a dire autorità + autorevolezza + potere – che è difficile riscontrare sovente nella realtà.
Continua il Catechismo (2) affermando che “ogni comunità umana ha bisogno di un’autorità che la regga. Tale autorità trova il fondamento nella natura umana”. Io specificherei: nella natura dell’uomo associato, anche perché, come premessa, dobbiamo chiederci da dove prende le mosse il Magistero sociale della Chiesa. Possiamo dire che le proposizioni magisteriali sono emesse ex fide, ex ratione, ex experientia. Ex fide, vale a dire secondo ciò che ci dicono Sacra Scrittura e Tradizione, ex ratione, secondo ciò che suggerisce la retta ragione, ex experientia secondo ciò che si ricava dall’esperienza degli uomini associati.
Che l’autorità venga da Dio ce lo dice San Paolo (3): “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite, poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna”. Stando a queste parole e pensando a certi persecutori antichi e moderni, la cui malvagità ha raggiunto limiti impensabili, qualche dubbio potrebbe umanamente sorgere nella nostra mente. Come vedremo tra poco il dovere di obbedienza e il rispetto per l’autorità è necessario per il bene e l’ordine della società, ma non è incondizionato. Tuttavia, come ancor oggi, durante la Messa, alcune preghiere dei fedeli sono rivolte a Dio per i governanti, così avveniva fin dai primordi della Chiesa, tant’è che la più antica preghiera per l’autorità politica risale a San Clemente che fu Papa dall’ 88 al 97 d.C. (4). Eccola. “O Signore, dona loro salute, pace, concordia, costanza, affinché possano esercitare, senza ostacolo, il potere sovrano che loro hai conferito. Sei Tu, o Signore, re celeste dei secoli, che doni ai figli degli uomini la gloria, l’onore, il potere sulla terra. Perciò dirigi Tu, o Signore, le loro decisioni a fare ciò che è bello e che ti è gradito; e così possano esercitare il potere, che Tu hai loro conferito, con religiosità, con pace, con clemenza, e siano degni della tua misericordia”.
La Chiesa non ha preferenze per un regime politico piuttosto che per un altro, ma ciascuno, sia pure in modi diversi, deve concorrere alla realizzazione del bene legittimo di ogni rispettiva nazione. E dunque:”I regimi la cui natura è contraria alla legge naturale, all’ordine pubblico e ai fondamentali diritti delle persone, non possono realizzare il bene comune delle nazioni alle quali essi si sono imposti” (5).
Che la legislazione umana debba avere dei limiti, ce lo ricorda San Tommaso, facendo appello alla retta ragione : “La legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la sua forza dalla legge eterna. Nella misura in cui si allontanasse dalla ragione, la si dovrebbe dichiarare ingiusta, perché non realizzerebbe il concetto di legge: sarebbe piuttosto una forma di violenza” (6). Se accade dunque che i governanti emanino leggi ingiuste o prendano misure contrarie all’ordine morale, tali disposizioni non sono obbliganti per le coscienze. Dice Giovanni XXIII: “In tal caso, chiaramente, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso” (7).
Si è finora parlato di bene comune ed è quindi opportuno cercare ora di definirlo. Anche in questo caso ci soccorre il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Per bene comune si deve intendere “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (8). Tre sono gli elementi essenziali che concorrono alla determinazione del bene comune (9). In primo luogo esso suppone il rispetto della persona in quanto tale e richiede che siano sviluppate tutte le condizioni d’esercizio delle libertà naturali, quali il diritto di agire secondo il retto dettato della propria coscienza, la salvaguardia della vita privata e la giusta libertà anche in campo religioso. In secondo luogo il bene comune richiede il benessere sociale, il che significa che le autorità politiche che devono garantire anche alle fasce più deboli della popolazione ciò di cui v’è bisogno per condurre una vita dignitosa: vitto, abbigliamento, salute, lavoro, educazione e cultura. In terzo ed ultimo luogo, il bene comune implica la pace, il che significa che l’autorità politica deve garantire la sicurezza della società e dei suoi membri. E’ proprio questo terzo elemento che fonda il diritto alla legittima difesa personale e collettiva. E’ chiaro che spetta alla comunità politica promuovere e salvaguardare il bene comune della società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi. Che cosa sono questi ultimi? Sono tutti quegli organismi – di qualunque tipo, economico, politico, sindacale, sportivo e così via – che si pongono tra la famiglia e lo Stato. Sono essi che garantiscono l’articolazione del corpo sociale. Se è vero infatti che il bene comune deve essere, in primis, promosso dalla comunità politica, è pure vero che anche i cittadini devono partecipare all’attuazione del bene comune e questo avviene proprio grazie ai corpi intermedi.
A questo proposito mi pare interessante richiamare la distinzione operata da Pio XII sui due concetti di popolo e di massa. Dice infatti Pio XII (10) che il popolo vive e si muove per vita propria, mentre la massa è di per sé inerte e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali è una persona consapevole delle proprie responsabilità e convinzioni. La massa, invece, senza vita autonoma, è sempre pronta a seguire oggi questa, domani quest’altra bandiera, favorendo così singoli partiti o avventurieri politici.
In effetti sono i corpi intermedi, vale a dire i cittadini variamente associati, che fanno vivere il popolo e Pio XII in numerosissimi radiomessaggi li ha sempre tenuti in altissima considerazione quali antidoti ad ogni deriva totalitaria.
La democrazia
Andiamo ora a considerare la democrazia. Nell’indice tematico del Catechismo della Chiesa Cattolica non ho trovato il termine, ma sulla democrazia già si erano espressi Pio XII nel già citato radiomessaggio e Paolo VI nella Lettera Les prochaines assises (11), documenti entrambi pubblicati dall’editrice Cristianità. Un giudizio esplicito ed articolato sulla democrazia è contenuto nell’ enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II, laddove si dice che la Chiesa ” apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno” (12). Inoltre si afferma che un’autentica democrazia è possibile soltanto sulla base di una retta concezione della persona umana ed esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone umane sia della “soggettività” della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità.
Già aveva detto Paolo VI che “la società democratica suppone una società di persone libere, uguali in dignità e che godono di diritti fondamentalmente uguali, che sono coscienti della loro personalità, dei loro doveri e dei loro diritti nel rispetto della libertà altrui”(13). E ancora: “Una tale democrazia trova nel Vangelo non solo incoraggiamento, ma sostegno. E tuttavia la libertà difesa dal cristianesimo non è il libero corso dato al capriccio, agli impulsi, allo scandalo e al vizio, a detrimento altrui e in spregio della legge”(14). Qui Paolo VI, dopo aver richiamato peraltro l’origine divina dell’autorità, ci esorta a non fare equivalere il termine “libertà” con quello di “licenza”. Non può, a questo punto, non venire alla mente un famoso passo della Repubblica di Platone (15), in cui il filosofo descrive la condizione di una società democratica che, per abuso di libertà, diventa levatrice della tirannide. Così ci dice Platone: “Quando una città democratica , assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano molta libertà. E ricopre di insulti coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. L’anarchia penetra anche nelle case private e un padre si abitua a diventare simile al figlio e a temere i propri figli che, pur di essere liberi, non hanno né rispetto né timore dei genitori; un meteco si eguaglia a un cittadino e un cittadino a un meteco e lo stesso vale per uno straniero. In una tale situazione un maestro ha paura degli allievi e li lusinga, mentre gli allievi fanno poco conto dei maestri. Insomma, i giovani si mettono alla pari dei più anziani e li contestano a parole e a fatti, mentre i vecchi, abbassandosi al livello dei giovani, si riempiono di facezie e smancerie, imitando i giovani per non sembrare spiacevoli e dispotici. La somma di tutti questi elementi messi insieme fa sì che, se ai cittadini si prospetta un minimo di sudditanza, essi si indignano e non lo sopportano, facendosi beffe delle leggi scritte e non scritte. Stante questa situazione, è chiaro che dall’estrema libertà non può che svilupparsi la schiavitù più grave e più feroce, ossia la tirannide”.
Questo è dunque ciò che accade quando si assiste alla degenerazione della democrazia. E che la vita democratica sia sempre a rischio di corrompimento è dimostrabile dal fatto che i comportamenti politico-sociali riferiti da Platone sono riscontrabili, mutatis mutandis, nella vita delle odierne democrazie.
Abbiamo finora parlato di democrazia come sistema. Oltre a quello della sua degenerazione, ci sono altri pericoli? Già Pio XII aveva affermato che “una sana democrazia sarà risolutamente contraria a quella corruzione che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freno né limiti e che fa anche del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice schema di assolutismo. L’assolutismo di Stato consiste infatti nell’erroneo principio che l’autorità dello Stato è illimitata e che di fronte ad essa non è ammesso alcun appello ad una legge superiore e moralmente obbligante” (16).
La Dottrina sociale (17) individua uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie nel relativismo etico che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori. E a questo proposito si cita la Centesimus annus di Giovanni Paolo II: “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”(18).
Si comprende facilmente che quando non si vuole che esistano non solo “principi non negoziabili” (19) relativi alla vita, alla famiglia e all’educazione, ma anche altri numerosi valori riconosciuti a livello di senso comune, la democrazia diventa totalitaria e si produce uno Stato etico, uno stato cioè che diventa fonte della morale, che stabilisce che cosa è bene e che cosa è male. E’ Giovanni Paolo II che nell’Evangelium vitae ci ricorda che la democrazia è fondamentalmente “un ordinamento e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere ‘morale’ non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare; dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve”(20).
Quando dunque il “sistema ” democratico degenera in “dittatura del relativismo” (21), per cui non c’è alcun principio di diritto naturale cui debba far riferimento un’assemblea legislativa e in cui c’è chi stabilisce che cosa è o non è “politicamente corretto”, che cosa è o non è democratico, che cosa possa o non possa essere messo ai voti, significa che le condizioni sociali di un popolo richiedono ai cristiani un’attenzione e un impegno continui. Così è oggi in Europa e in Italia. Divorzio, aborto, eutanasia sono già nelle leggi di numerosi Stati, ma si prospettano ulteriori passi verso il baratro morale della società. Si parla già, ad esempio, di aborto post-natale, vale a dire, molto semplicemente, di infanticidio. Per il divorzio si chiedono tempi sempre più brevi, per l’eutanasia sempre maggiori facilitazioni. E che dire degli attacchi alla famiglia tradizionale con l’imposizione dell’ ideologia del gender persino nelle scuole, a partire da quelle dell’infanzia (22)? Che dire delle leggi antiomofobia che prevedono reati di opinione punibili anche con il carcere? E’ vero o non è vero che in Francia esiste “le délit d’entrave”, ossia “il reato di intralcio all’aborto”, per cui coloro che cercano di dissuadere una donna dalla pratica abortiva rischiano fino a due anni di carcere e fino a trentamila euro di sanzione? E che dire del Belgio che, primo paese al mondo, ha promulgato una legge che consente l’eutanasia anche per i minori?
Se già nella democrazia “sistema” occorre essere attenti e partecipi per evitare degenerazioni, tanto più vi è la necessità, si potrebbe dire l’obbligo, per i cristiani di vigilare e manifestare contro ogni forma di dittatura ideologica della democrazia. A tale proposito il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (23) ribadisce il diritto all’obiezione di coscienza e Giovanni Paolo II, nell’ Evangelium vitae, è perentorio quando afferma che gli uomini moralmente retti, se sono chiamati a collaborare ad azioni moralmente cattive, “hanno l’obbligo di rifiutarsi” (24).
Si dà il caso che oggi, almeno in Italia, si levino voci che lamentano le difficoltà di aborto a causa del numero eccessivo di medici obiettori. La “dittatura democratica” li vorrebbe forse costringere a fare una cosa moralmente ripugnante? Stesso problema si porrebbe – e in certi paesi si pone – per un sindaco o un suo delegato che non volesse celebrare matrimoni fra persone dello stesso sesso. Laddove esiste la legge la soluzione prevista è una sola, le dimissioni. Giovanni Paolo II aveva ben presente il problema e infatti nell’enciclica ribadisce che l’obiezione è non solo un dovere, ma anche un diritto umano basilare che, proprio perché tale, la stessa legge civile deve riconoscere e proteggere: “Chi ricorre all’obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale” (25).
I princìpi del diritto naturale fondano e limitano il diritto positivo. Se non si riconosce questo, diviene allora legittimo resistere all’autorità. Come riconosce San Tommaso d’Aquino: “si è tenuti ad obbedire per quanto lo esige l’ordine della giustizia”(26).
La dottrina sociale della Chiesa giunge addirittura a prevedere una resistenza armata all’oppressione del potere politico, anche se con limiti ben precisi. Infatti per il ricorso alle armi devono sussistere tutte insieme le seguenti cinque condizioni (27): 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori. A meno che non ci si trovi di fronte ad oppressioni violente, diffuse e persistenti, oggi, secondo l’Istruzione Libertatis conscientia (28), “è preferibile la strada della resistenza passiva – oggi diremmo non violenta – più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo”.
Segnali in questo senso ci sono: in Francia la Manif pour tous ed ora la sua filiazione italiana e poi le Sentinelle in piedi e i Comitati Sì alla famiglia. In Croazia il 1° dicembre 2013 un referendum ha introdotto nella Costituzione la precisazione che il matrimonio è solo tra un uomo e una donna. Imponenti Marce per la vita si svolgono negli USA e in diversi altri paesi. Posizioni nette sulla teoria del gender sono state prese dalle Conferenze Episcopali di Slovacchia, Polonia e Portogallo, a cui si sono aggiunti recentemente i Vescovi del Triveneto (29).
Si può fare di più? Certo, ma se non si fa nulla si è sempre e solo sconfitti dal “senso della storia”. E allora chiediamoci: ci sono ancora uomini e donne di buona volontà, cristiani e non, dotati di retta ragione e desiderosi di futuro? Con l’immagine, davanti agli occhi, dell’imponente Manif pour tous di Parigi … penso proprio di sì.
Note:
1. Catechismo della Chiesa Cattolica (d’ora in avanti CCC), n. 1897.
2. CCC, n. 1898.
3. Rm 13, 1-2.
4. San Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 61,1-2.
5. CCC, n. 1901.
6. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I – II, 93, 3, ad 2.
7. Giovanni XXIII, Enciclica Pacem in terris, 51.
8. Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 26.
9. Cfr. CCC, nn. 1907, 1908, 1909, 1910.
10. Cfr. Pio XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico, Radiomessaggio natalizio “Benignitas et humanitas” (24 dicembre 1944), Cristianità, Piacenza 1991, pp. 10-11.
11. Paolo VI, La società democratica (Lettera Les prochaines assises del 2 luglio 1963), Cristianità, Piacenza 1990.
12. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 46.
13. Paolo VI, cit., p. 7.
14. Paolo VI, ibidem, p. 8.
15. Platone, Repubblica, cap. VIII, da 562c a 564a.
16. Pio XII, cit., pp. 17-18.
17. Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 407.
18. Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991) 850.
19. Espressione usata da Papa Benedetto XVI nel 2006 in un discorso rivolto ai congressisti del Partito Popolare Europeo in riferimento alla vita, alla famiglia e all’educazione.
20. Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, 70: AAS 87 (1995) 482.
21. L’espressione è dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger che la utilizzò durante l’omelia della Messa “Pro eligendo pontifice” il 18 aprile 2005: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.
22. Si vedano al proposito le varie “Raccomandazioni” europee (a partire dal 2010) e in Italia le “Linee guida” e la “Strategia nazionale” dove sono stati magna pars l’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-discriminazioni Razziali) direttamente legato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e le associazioni LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali). La stesura in Italia della “Strategia nazionale” per le scuole è stata effettuata grazie alla partecipazione di ventinove associazioni tutte rigorosamente LGBT. Vien da chiedersi dove sia mai andato a finire un termine che nei sistemi democratici era una volta tenuto in massima considerazione: “pluralismo”.
23. Cfr. Compendio ecc. , cit, n. 399.
24. Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, 73 : AAS 87 (1995) 386-487.
25. Giovanni Paolo II, ibidem, 488.
26. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 104, dove dice testualmente: “Principibus saecularibus intantum oboedire tenetur, inquantum ordo iustitiae requirit”.
27. CCC, n. 2243.
28. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis conscientia, 79: AAS 79 (1987) 590.
29. Nota del 2 febbraio 2014.