n. 21 – ottobre 2018
Cari amici,
in questo mese di ottobre, il giorno 21, ricorre la festa liturgica del beato Carlo d’Austria (1887-1922), venerato in Alleanza Cattolica da moltissimi anni, da ben prima della beatificazione da parte di san Giovanni Paolo II nel 2004.
Oggi 12 ottobre ha inizio la novena di preghiera a lui dedicata: chi è interessato può accedere alla pagina http://www.beatocarloinitalia.it/devozione/novena/. Per nove giorni si legge la meditazione facendola seguire dalla preghiera per la canonizzazione del beato Carlo (si trova in fondo alla pagina) e si conclude con il Pater, Ave, Gloria.
Lo scorso anno abbiamo avuto l’onore di ospitare a Ferrara uno dei massimi biografi del beato Carlo, il prof. Oscar Sanguinetti, coautore del volume «Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo» che ha svolto per Alleanza Cattolica in Ferrara la relazione «1917: gli estremi tentativi di pace dell’imperatore Carlo d’Austria».
Vogliamo ricordare con questo numero di IN HOC SIGNO la grande figura dell’imperatore Carlo quale straordinario uomo di pace proponendovi la lettura della relazione del prof. Sanguinetti.
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Oscar Sanguinetti
Ferrara, 25 novembre 2017
1917: gli estremi tentativi di pace dell’imperatore Carlo d’Austria
1. Carlo
La figura umana dell’ultimo Asburgo è multiforme: cristiano, soldato, sposo, padre di famiglia, aristocratico, uomo di Stato (erede al trono), sovrano e, infine, last but not least, beato. Mi pare opportuno, parlando di lui, fornirne qualche dato biografico.
Il futuro imperatore di Austria e re di Ungheria nasce nella residenza di famiglia Persenbeug, a ovest di Vienna, sulle rive del Danubio, nel 1887. È figlio di Ottone Francesco Giuseppe d’Asburgo-Lorena (1865-1906), arciduca d’Austria, fratello di Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este (1863-1914) e di Maria Giuseppina di Sassonia-Wettin (1867-1944), figlia di Giorgio di Sassonia (1832-1904). L’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916) è dunque suo prozio.
L’infanzia e gioventù di Carlo non hanno nulla di speciale: seguono l’iter classico della nobiltà del sangue dell’epoca, ma è un iter profondamente influenzato dalla intensa fede cristiana e vita di carità della madre. Studia alla corte di Schönbrunn con precettori privati e consiglieri di alto livello; poi — cosa inusitata per un membro della famiglia imperiale — allo Schottengymnasium, un istituto pubblico di Vienna retto dai monaci benedettini. Inizia presto la carriera militare come ufficiale di cavalleria. Già nel 1903 è nominato tenente onorario e intensifica lo studio delle materie militari. Nel 1906 ottiene il grado di tenente effettivo, ma poco dopo interrompe la carriera militare per studiare come privatista per due anni materie giuridiche ed economiche all’Università di Praga. Nel luglio del 1908 torna al reggimento come comandante di squadrone. Dopo sposato, guida un reggimento di fanteria di stanza a Vienna, dove ha frequenti incontri con l’erede al trono, Francesco Ferdinando, che lo mette a parte dei suoi piani di riforma dell’impero, dei quali si farà in certa misura eco una volta diventato sovrano.
Carlo a 11 anni è già diventato secondo nella linea di successione a Francesco Giuseppe dopo la morte del padre (1898) e del nonno (1896) e dopo il suicidio a Mayerling nella Bassa Austria dell’unico figlio maschio di Francesco Giuseppe e di Elisabetta «Sissi» di Wittelsbach (1837-1898), arciduca Rodolfo (1858-1889). Quando poi Francesco Ferdinando nel 1900 contrae un matrimonio morganatico che ne escludeva i figli dalla successione imperiale, la Corte inizia a pensare, quindi, con il passare degli anni, a fare pressione, perché Carlo, divenuto maggiorenne, si ammogli.
Il 21 ottobre 1911, nel castello di Schwarzau am Steinfeld, a sud di Vienna, sposa, dopo un brevissimo fidanzamento, l’amica d’infanzia e futura serva di Dio Zita Maria delle Grazie di Borbone-Parma (1892-1989), nata in Italia, figlia del Duca di Parma e Piacenza, morto in esilio, Roberto I (1848-1907) e della sua seconda moglie, la principessa portoghese Maria Antonia di Braganza (1862-1959): da Zita Carlo avrà 8 figli, l’ultimo nato postumo. Per inciso, i figli di Roberto I sono ben 24, di cui 12 di primo letto.
Il 28 giugno 1914, durante una visita a Sarajevo, in Bosnia, l’erede al trono, Francesco Ferdinando, e sua moglie contessa Sofia Chotek von Chotkow (1868-1914), sono assassinati per mano di un giovane terrorista e irredentista bosniaco-serbo, Gavrilo Princip (1894-1918).
Come noto, l’attentato sarà la scintilla che — anche per l’ostinata intransigenza austriaca nell’imputare l’omicidio alla Serbia — farà deflagrare il primo, micidiale, conflitto mondiale fra la Triplice Alleanza — o, meglio, ciò che ne resta dopo la clamorosa defezione italiana a pochi mesi dallo scoppio della guerra —, formata da Austria-Ungheria, Reich guglielmino e Impero ottomano, e la Triplice Intesa, ossia Regno Unito, Repubblica Francese, Russia cui si aggiunge nel 1915, il Regno d’Italia.
La tragica morte dello zio fa sì che Carlo venga a trovarsi al primo posto nella linea di successione: egli è il Kronprinz, l’erede designato. La sua probabilità di salire al trono è drasticamente accresciuta dall’età sempre più avanzata del sovrano in carica, che allo scoppio del conflitto ha 84 anni.
Scoppiato il conflitto, l’arciduca Carlo, nominato maggiore-generale, assume il comando del corpo d’armata di montagna “Edelweiss” (stella alpina) inquadrato nell’XI Armata, che guiderà durante l’offensiva in Trentino nel maggio del 1916, la cosiddetta Strafexpedition (spedizione punitiva). Poi, nell’estate, Carlo per qualche mese passerà al nuovo fronte russo-rumeno.
Quando il 21 novembre del 1916 il vecchio sovrano muore, Carlo gli subentra automaticamente nel ruolo d’imperatore d’Austria, re apostolico d’Ungheria e re di Boemia.
Carlo ha idee differenti da quelle del vecchio ceto dirigente: vuole l’evoluzione della monarchia secondo paradigmi più aggiornati ed efficaci, coltiva fino all’ultimo il disegno di una monarchia rinnovata, basata sui pari diritti delle nazionalità e sull’idea federalistica, nonché più aperta alle libertà costituzionali e parlamentari. Carlo vivrà il suo ruolo di sovrano in una prospettiva schiettamente religiosa, così come vive i ruoli di uomo, di sposo, di padre, di soldato. Sa di essere l’ultimo esponente di una tradizione dinastica, quella asburgica, da sempre legata al cattolicesimo e di avere ricevuto sul capo la corona magiara attraverso non un rito laico qualunque ma con un antico sacramentale cristiano, che lo legava indissolubilmente al destino e al bene comune del popolo ungherese. Egli si prodigherà oltre ogni misura per alleviare i danni tremendi del conflitto e per dare alle battaglie un volto più umano o meno barbaro, nonché per aiutare le famiglie dei soldati al fronte e tutta la popolazione delle città e delle campagne, sempre più esposte alla carenza alimentare e ai sacrifici.
Sul primo fronte si scontrerà spesso con l’ostinazione germanica nel perseguire la vittoria con qualunque mezzo, per esempio limitando i bombardamenti dal mare e dall’aria sulle città nemiche e ponendo un freno alla guerra sottomarina e all’uso dei gas asfissianti. Sull’altro, quando le sorti della guerra volgeranno al peggio e la fame, a causa del blocco navale alleato, inizierà a infierire anche nella capitale, none siterà a far macellare i cavalli della corte per darne le carni ai viennesi.
2. La Grande Guerra fra 1916 e 1917
La guerra mondiale, scatenata dalla monarchia danubiana e in cui essa si trova totalmente coinvolta, è una guerra “nuova”, “recente”, moderna e incipientemente “totale”. Per capirne il senso e la portata occorre “pensare per epoche”, come raccomandava Gonzague de Reynold (1880-1970): la Grande Guerra si può capire solo collocandola nel percorso della civiltà europea dalla fine del Medioevo a oggi. Essa è il punto di sbocco —un delta, piuttosto che un estuario… — di tutte le tensioni che il graduale dispiegarsi di un progetto di erigere un mondo contro Dio e non più “a misura d’uomo” ha fatto accumulare nei secoli, quanto meno a partire dalla Rivoluzione francese e dalla successiva nascita in Europa degli Stati-nazione e del turbinio di conflitti che fra essi si scatena.
Ed è la seconda guerra civile europea dopo quella dei Trent’Anni (1619-1648) di tre secoli prima, frutto della fine del Sacro Romano Impero e della lacerazione religiosa e politica della cristianità. Una seconda guerra civile che non si conclude nel 1918 ma solo nel 1945.
Nasce come spedizione punitiva contro la Serbia, nell’ottica di una terza guerra balcanica”, e si dilata subito in un conflitto che ha come teatro tre continenti: Europa, Asia e Africa, mobilita circa 70 milioni di uomini e si chiude nel 1918 con circa 26 milioni di morti, senza considerare le morti per malattia post-belliche, né la miriade di conflitti, corollario dello scontro principale che si protraggono, complicati dalla guerra civile russa e dalla spinta del nuovo Stato comunista contro l’Europa dell’est, fino all’incirca al 1921 con un bilancio approssimativo di 3 milioni di vittime. La Prima Guerra Mondiale segna una svolta nella storia del mondo, non solo in campo geopolitico —dove cambia la carta del mondo e vede l’inizio del declino dell’Europa davanti all’emergere degli Stati Uniti come potenza occidentale con “vocazione” globale —, ma anche in relazione al processo di secolarizzazione e di demolizione delle strutture morali del mondo occidentale, iniziato grosso modo con la Rivoluzione francese del 1789, un processo che dopo il 1918 conosce una brusca accelerata. Essa vede il trionfo del nazionalismo moderno, sia come causa sia come principio ispiratore della conduzione della guerra; vede il crollo di 4 imperi; pone le premesse per la nascita del totalitarismo hitleriano in Germania; vede la nascita della società di massa ed è condizione determinante per l’esordio in Russia della Rivoluzione comunista, allo stesso tempo aggressivamente ateistica e nemica della proprietà privata.
I primi anni di guerra, dal 1914 alla fine del 1916, quando Carlo I ascende al trono, hanno rivelato in maniera clamorosa la novità, in termini di capacità omicida e di scala di devastazione, che le tecniche moderne hanno creato. Numeri mai visti di risorse umane mobilitate e coinvolte. Teatri di guerra sempre più numerosi: dai tre fronti del 1914 — franco-tedesco, russo-turco e russo-germanico, con le relative colonie africane — si passa i sei del 1916, essendosi aggiunti quello italiano, quello rumeno e quello mediorientale. Sempre più popoli coinvolti, grazie ai meccanismi di fedeltà imperiale. Comunicazioni sempre più rapide, mezzi di trasporto delle truppe più veloci e flessibili con gli autocarri e gli aeroplani. Armi sempre più distruttive: artiglierie di maggiore potenza e gittata, bombe a più ampia capacità omicida, aerei da bombardamento, siluri dei sottomarini, mitragliatrici portatili ad alta intensità di fuoco, lanciagranate e lanciafiamme, proiettili a gas asfissiante, carri armati. È una guerra che necessità sempre più di risorse energetiche e gl’Imperi centrali si troveranno ben presto handicappati sotto questo profilo.
In altri termini, la guerra si è dilatata nello spazio e nel tempo e come numero di vittime, si è imbarbarita, si è radicalizzata fino all’apocalittica ideologica; si è fatta sempre più guerra totale dove prevarrà chi avrà più risorse e potrà durare più a lungo nello sforzo.
Non vi sono a mia scienza dati statistici complessivi che ci dicano il numero di vittime complessivo diviso per anno. Basti solo pensare che nei primi dodici mesi di guerra, quindi sommando solo il fronte occidentale e il fronte russo, le vittime sono state circa un milione!
L’anno più devastante, quello con le battaglie più omicide, è con tutta probabilità il 1916 perché è quello con il maggior numero di operazioni militari: i 300.000 morti di Verdun, la Somme, le micidiali battaglie dell’Isonzo, la Romania, la battaglia dello Jutland, l’offensiva russa di Brusilov, la guerra nel Caucaso, la campagna mediorientale.
Il 1917 in realtà conosce meno campagne belliche — lo sfondamento austro-tedesco del fronte italiano a Caporetto; Chemin des Dames — e, con la Rivoluzione russa di Febbraio e poi di Ottobre, vede “chiudersi” il fronte orientale. Ma il 1917 segna anche il momento in cui le nuove armi raggiungeranno la loro “maturità” e produrranno gli effetti più nefasti. Le testarde battaglie di annientamento sul fronte francese, le infinite e terrificanti battaglie sull’Isonzo (153.000 vittime solo nel 1917!), il conflitto in espansione sul fronte anglo-turco in Medio-Oriente, l’impiego sempre più massiccio dell’aviazione e dei carri armati — 500 carri inglesi nel novembre sono all’attacco nelle Fiandre, l’intensificazione della guerra sottomarina e aerea fanno lievitare in maniera drammatica il numero dei caduti.
Si può dire che nel 1917 la guerra conosce forse una flessione come numero di vittime, ma il suo protrarsi per un ulteriore anno all’incirca allo stesso volume di perdite e di rovine senza conquiste territoriali apprezzabili fa sì che nel 1917 la stanchezza affiori su tutti i fronti e l’esigenza di una tregua diventi generale.
Non solo: è anche l’anno in cui gli aiuti statunitensi del Commonwealth all’Intesa raggiungeranno dimensioni strategicamente decisive e il blocco navale inglese ridurrà allo stremo i popoli degl’Imperi centrali: entrambe le cose indurranno la Germania alla mossa sconsiderata di scatenare la guerra sottomarina indiscriminata (21 febbraio, proprio mentre i negoziati austro-francesi sono nel loro pieno) e trascineranno gli Stati Uniti nel conflitto anche militarmente.
Tuttavia, dopo la vittoria austro-tedesca di Caporetto, gl’Imperi centrali occupano tutta l’Italia orientale, continuano a occupare il Belgio, ampi territori sul confine con la Francia, la Romania, l’Ucraina, i Paesi baltici: nonostante il logoramento ormai fatale, sono quindi ancora in una posizione di forza per trattare.
3. I negoziati di pace e il ruolo di Benedetto XV e di Carlo
È bene chiarire che i negoziati di pace fra i due fronti in conflitto iniziano ben prima che Carlo ascenda al trono; ne sono protagonisti diversi soggetti: imperatori, sovrani, presidenti, ministri, diplomatici, generali, singoli personaggi di prestigio dell’establishment europeo di ante-guerra, servizi segreti militari, e perdurano fino quasi alla metà dell’ultimo anno di guerra. Spesso si tratta di colloqui che si svolgono parallelamente fra loro, non di rado all’oscuro l’uno dell’altro, quando non s’intrecciano e talvolta si ostacolano a vicenda per le diverse vedute dei loro promotori. Per esempio, la politica negoziale di Carlo non sempre coincide con quella del suo ministro degli Esteri conte Czernin o quella del presidente del Consiglio italiano coincide con quella di Vittorio Emanuele III, per non parlare di inglesi e francesi, di presidenti della Repubblica Francese e di governo francese, di franco-inglesi e americani, di russi-zaristi, russi-kerenskiani e russi-bolscevichi con i tedeschi, e così via in un tourbillon che a volta stordisce ma che si rivela costantemente inane…
Vorrei però sottolineare che fra i protagonisti che si avvicendano sulla scena ve n’è uno che non ne esce mai ed è sempre in primo piano e che è bene ricordare brevemente: papa Benedetto XV (1914-1922).
3.1 Benedetto XV
Già alla fine della sua vita san Pio X aveva ammonito i popoli che vedeva scendere in guerra fra loro sulle conseguenze di uno scontro esteso e micidiale.
Benedetto XV fin dall’indomani della sua elezione si prodiga per ammonire, fermare o ridimensionare la guerra. Non ha negato il diritto dell’Austria ad aprire il conflitto dichiarando guerra alla Serbia e, rispettando il principio di laicità, non vieterà ai cristiani cattolici dei vari Paesi di partecipare alla guerra, né ai partiti cristiani di appoggiarla.
Tuttavia il suo magistero sulla guerra — il massimo problema pastorale del suo breve pontificato — sarà intenso: settembre 1914 (Ubi primum); novembre 1914 (Ad beatissimi); gennaio 1915 (Preghiera per la pace): luglio 1915 (Allorché fummo chiamati, ai governanti delle nazioni in guerra); marzo 1916 (Al tremendo conflitto); 5 maggio 1917 (Il 27 aprile 1915); agosto 1917 (Nota ai capi delle nazioni belligeranti).
Così pure la sua proposta della Santa Sede come arbitro del conflitto. Benedetto si muove con i mezzi tipici di Roma: la diplomazia vaticana, gli aiuti ai prigionieri e alle famiglie, i messaggi ai capi dei popoli in lotta, il servizio sacramentale e l’apostolato dei cappellani militari in mezzo alle truppe combattenti, la preghiera dei religiosi per il ritorno della pace.
Tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917, quarto anno di guerra, quando si può osservare un panorama terrificante di lutti e distruzioni, e si può estrapolare da esso che cosa attende l’Europa negli anni a venire, quando nuove masse umane verranno immesse nello scontro — si prevede l’entrata in scena degli americani — e nuove popolazioni civili si troveranno esposte alle devastazioni, per il papa e per chiunque abbia a cuore le sorti del mondo, s’impone un ripensamento, almeno morale, della guerra.
Ma si trattava di cieco pacifismo? O solo di uno spirito di commiserazione per il massacro in atto? No, vi erano anche ragioni assai più umane. Visto il trend negativo per gli imperi centrali, l’attenta diplomazia vaticana intuisce che il crollo dell’Austria-Ungheria aprirebbe un vuoto difficilmente colmabile nell’area danubiana: chi, se non una struttura imperiale, potrebbe garantire la convivenza di popoli così eterogenei? E il crollo della Germania aprirebbe la strada a un’avanzata della Russia, sempre più probabilmente socialista, verso la Polonia; i nazionalismi slavi si moltiplicherebbero ed esaspererebbero; l’ipoteca americana sul Vecchio Continente ne segnerebbe la fine; e l’avanzata del processo di secolarizzazione sarebbe irrefrenabile.
Da qui nascerà la famosa Nota ai capi delle nazioni belligeranti del 1° agosto 1917, un nuovo e più accorato appello del Papa che muove dalla constatazione oggettiva che la guerra “appare […] sempre più una inutile strage”, chiede il silenzio delle armi e propone un dettagliato piano sul quale la pace possa essere negoziata in maniera concreta e realistica.
3.2 Le fasi e i protagonisti
Accenni di richieste di negoziati se rilevano già a partire dalla fine del 1915. Può sembrare sorprendente che a un solo anno o poco più dallo scoppio del conflitto qualcuno dei contendenti abbia sentito la necessità di sondare l’avversario in vista di un armistizio. Ma, se si riflette che i soli primi dodici mesi di guerra sui vari fronti euro-asiatici e africani avevano già provocato circa un milione di vittime, la cosa pare meno strana. In effetti già allora in alcuni matura la percezione che “qualcosa è andato storto”, che quello che sembrava destinato a essere l’ennesimo conflitto balcanico era sfuggito di mano ai belligeranti e si era imprevedibilmente trasformato in uno scontro drammaticamente esteso, sanguinoso e prolungato. Dopo l’apertura del fronte italiano gl’Imperi centrali combattono su più fronti: oltre a quello occidentale, quello russo-tedesco e russo-austroungarico in Galizia, quello russo-turco, quello inglese-turco in Medio Oriente, quello nelle colonie africane fra anglo-francesi e tedeschi. Sempre nuovi popoli del mondo accorrono dagli sterminati imperi coloniali francese e britannico sotto le bandiere dell’Intesa, in attesa che si muovano anche i portoghesi e gli americani. Non solo: le grandi vittorie germaniche contro la Russia zarista hanno fatto intravedere la debolezza del grande esercito zarista sul quale tanto avevano puntato le potenze occidentali.
3.3 Prima di Carlo
Promossi dal presidente del Consiglio francese, il socialista Aristide Briand (1862-1932), contatti tra francesi, inglesi e tedeschi si segnalano già nel dicembre del 1915 sul suolo neutrale svizzero e vertono sulla riconsegna dell’Alsazia-Lorena alla Francia in cambio di colonie francesi; continuano nel 1916, ancorché senza esito.
3.4 I negoziati promossi da Carlo d’Austria
L’arciduca Carlo ha già avuto rapporti affettuosi con san Pio X al tempo del fidanzamento e delle nozze con Zita. Pio X pronosticherà il suo avvento al trono. Sebbene il suo regno sia un crogiolo di religioni diverse, sarà quindi costantemente sensibile e docile, da erede al trono e da imperatore, alla voce del Papa di Roma.
Come accennato, fin da 22 novembre 1916, nel manifesto d’insediamento, Carlo dichiara di volere alleviare la condotta della guerra e si batte per una guerra leale e limitata che eviti i gas, i bombardamenti sulle città indifese e la guerra sottomarina indiscriminata: non a caso uno dei suoi primi atti — il 1° marzo 1917 — sarà la destituzione del feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf (1852-1925), detto “il Ludendorff austriaco”, acceso bellicista, ateo e materialista, da capo di Stato Maggiore.
Alla svolta fra i due tragici anni di guerra che lo vedono salire al trono, Carlo comprende che il trend è sfavorevole alla monarchia austro-ungarica: le iniziali sconfitte sul fronte russo, con circa un milione e mezzo di vittime, nonostante la vittoria successiva contro la Romania, hanno fiaccato l’esercito; l’inattesa apertura del fronte italiano, con le sue battaglie di logoramento e la difficile guerra alpina, hanno lasciato il segno; l’irrequietudine delle nazionalità davanti alla guerra e alla giovane età del nuovo sovrano è cresciuta; la scarsità delle risorse materiali causata dal blocco navale inglese si fa sempre più acuta. L’esercito plurinazionale tiene bene, le industrie belliche sono ancora potenti, la popolazione coesa e il suo morale accettabilmente alto, nonostante le crescenti difficoltà materiali, i generali ancora capaci di cogliere successi, i rapporti con la sospettosa Germania in sostanza buoni. Tuttavia appare chiaro che il tempo gioca contro gli austro-tedeschi: o si riesce a cogliere un successo tale da imprimere una svolta favorevole alla guerra oppure a lungo andare, la coalizione dell’Intesa che ormai comprende decine di nazioni e può contare su risorse umane e belliche illimitate prevarrà. Carlo deve quindi decidere ma non è facile perché deve ragionare spregiudicatamente, non escludendo l’ipotesi di una pace separata, anche se, tuttavia, il suo senso dell’onore gli impone di mantenere fino all’estremo possibile la sua lealtà al Kaiser tedesco.
Carlo, pertanto, non aspetterà, come si dice un po’ schematicamente, di sentire risuonare l’appello papale del 1917: la situazione che ho descritto e gli appelli che ha potuto ascoltare provenire da Roma lungo tutti i due anni precedenti basteranno a farlo muovere.
Le trattative che Carlo avvia sono in realtà un unico processo che si chiude solo nel 1918, quando le decisioni dei belligeranti saranno profondamente influenzate dalla discesa in campo degli americani e dal tracollo finale russo, culminato con la Pace di Brest-Litovsk.
Il partner preferito dei suoi contatti sarà la Francia, per cui ha simpatia — sua moglie appartiene a una dinastia francese — e con la quale le truppe austro-ungariche fino a quel momento non si sono mai scontrate. Nella relazione franco-austriaca si segnalerà la mediazione indiretta del sovrano belga in esilio, Alberto I (1875-1934), che proteggerà sempre le missioni di pace del suo suddito principe Sisto di Borbone-Parma (1866-1934) e la cui causa sarà più volte menzionata da Carlo come giusta.
Questo processo si svolge all’incirca in due fasi: quella che va dal novembre del 1916 al marzo del 1917 e quella successiva all’appello pontificio dell’agosto del 1917.
Di esse, come ho detto, saranno protagonisti uomini — e donne, se consideriamo l’attenzione e l’influenza di Zita d’Austria-Ungheria sui negoziati — con idee e principi diversi; si snodano a un livello palese — molto meno coltivato — e a uno discreto, assai più intenso e intricato. Vista la posta in gioco, i sovrani preferiranno più spesso quest’ultima forma perché non li impegnava direttamente e non lasciava adito ad accuse di debolezza. Va anche detto che, quando lo storico ha a che fare con eventi in qualunque misura velati dal segreto, gli è sempre arduo tirare delle conclusioni precise: lo storico lavora sui fatti e, più documentati essi sono, tanto meglio è. Anche per questo tirare le fila dell’intrico di contatti, di messaggi, di conversazioni, con cui le due parti si sondano a vicenda richiederebbe parecchio spazio.
Per chi fosse interessato ad approfondire, quasi tutte le iniziative negoziali del periodo 1915-1918 sono descritte con abbondanza di particolari e brillante verve espositiva in un volume edito nel 1988 in Francia dello scrittore e giornalista franco-ungherese François Fejtő (Ferenc Fischel; 1909-2008) Requiem per un impero defunto: a questo saggio, per lo più — ma non esclusivamente — mi appoggio nella mia breve ricostruzione, che si limita a una carrellata sugli eventi, che ha l’intento di far emergere la non comune volontà del giovane e sfortunato — in temporalibus — sovrano cattolico di fermare l’“inutile strage”.
Gran parte delle trattative di pace — o, meglio, dei preliminari di trattativa —, per quanto concerne i vari teatri in cui l’Austria-Ungheria è alla fine del 1916 coinvolta — Italia, Galizia, Balcani —, ruotano intorno alla figura del già nominato principe Sisto di Borbone-Parma e, in tono minore, a quella di Francesco Saverio di Borbone-Parma (1889-1977): entrambi sono fratelli maggiori dell’imperatrice Zita.
I due principi hanno ottenuto il permesso da Francesco Giuseppe, che ospita i Duchi di Parma in esilio, di poter tener fede alle loro origini di principi francesi e di lasciare il territorio austro-ungarico per andare a combattere con la Francia. L’imperatore acconsentirà, ma la Repubblica Francese, essendo membri della famiglia un tempo regnante, negherà loro di entrare nel suo esercito, sì che troveranno ospitalità nei ranghi dell’esercito della monarchia belga, esule in Francia dopo le sconfitte del 1914. Per la cronaca, altri tre fratelli di Zita combattono invece nelle armate imperial-regie.
Sisto, fin dal marzo del 1915, pare per impulso della madre Maria Antonia di Braganza — forse a sua volta sollecitata da Carlo attraverso Zita —, si è mosso sul fronte vaticano e sul fronte asburgico per evitar l’entrata in guerra dell’Italia per addolcire il conflitto e a propiziarne una conclusione rapida. Carlo, divenuto imperatore, vedrà — forse a torto — in lui il mediatore ufficioso ideale per aprire colloqui con il nemico franco-britannico in vista di un armistizio fra Imperi e Alleati. Ferito e pluridecorato, ben introdotto negli ambienti politici e diplomatici parigini, animato da una sincera volontà di pace, appoggiato dal re belga, in effetti sembrava l’uomo-chiave per aprire un dialogo austro-francese.
L’iniziativa di pace mediata dal principe italo-franco-belga sembrano avere esito positivo: il governo francese di Raymond Poincaré (1860-1934) redige una mezza proposta di pace. I motivi di questa imprevedibile disponibilità al dialogo sono molteplici: forse alla fine del 1916 la Francia, dopo le stragi di Verdun e sulla Somme, teme di essere prossima all’esaurimento; oppure scaltramente punta sull’anello meno forte dell’alleanza nemica per dividerla. Evidente, ancora, è la non ancora totale presa dell’ideologia massonica sul governo transalpino, che emergerà nitida più oltre e drammaticamente a Versailles. Le condizioni negoziate sono lo sgombero del Belgio e la restaurazione della monarchia — e il ricupero belga della ricca colonia congolese —; la cessione dell’Alsazia-Lorena alla Francia; la restaurazione della monarchia dei Karađorđević in Serbia; la cessione di Costantinopoli alla Russia.
Il 29 gennaio 1917 Maria Antonia di Parma incontra i figli Sisto e Saverio a Neuchâtel, in Svizzera, in territorio neutrale. Questi le consegnano una nota contenente il piano di armistizio che la Francia sarebbe disposta a sottoscrivere.
Nel frattempo, Carlo incarica un amico d’infanzia e suo aiuto di campo, il conte Tamás Erdődy (1886-1931), di tenere i contatti con i cognati. Il 14 febbraio 1917, sempre a Neuchâtel, Erdődy espone il progetto di Carlo: è d’accordo per il ritorno dell’Alsazia-Lorena alla Francia, per l’indipendenza del Belgio, per un armistizio preliminare con la Russia, ma, quanto alla Serbia, ne propone l’integrazione entro un Regno federale degli slavi del sud, allargato all’Albania e ad altre regioni minori, con un Asburgo sul trono, che garantisse il legame con Vienna.
Significativamente, né nella proposta né nella contro-proposta, si faceva menzione dell’Italia della quale, anche se il Patto di Londra del 1915 non era ancora stato rivelato, si conosceva l’atteggiamento violentemente anti-austriaco e, verso la quale, a dispetto dell’italianità di Zita, l’antico comandante della Edelweiss nutriva un risentimento profondo per il tradimento patito dall’Impero e per averlo costretto a coprire un nuovo e sanguinoso fronte.
Sisto, davanti alla divergenza fra le due proposte, comprende che solo un’offerta pubblica di pace darebbe forma alla volontà di pace di Carlo. Allora Carlo informa delle trattative da lui avviate il suo ministro degli Esteri, conte Ottokar Czernin von und zu Chudenitz (1872-1932). Quest’ultimo, fedele alleato della Prussia, rileva l’errore di parlare di Alsazia senza un accordo preventivo sicuro con Berlino. Trattandosi di territori germanici era solo il Kaiser Guglielmo a poterne deciderne le sorti. Chiederà a Carlo di essere lui in prima persona ad affrontare Guglielmo II von Hohenzollern (1859-1941) e lo farà in un drammatico colloquio faccia a faccia il 3 aprile nel castello di Bad-Homburg, nell’Assia — dove si reca anche Zita —: l’incontro avrà toni accesi, Carlo arriverà a minacciare la pace separata e la discussione sfocerà in un inatteso alterco fra i due sovrani. Carlo tuttavia otterrà un rifiuto completo del suo piano.
Il 5 marzo, Sisto e Saverio sono ricevuti dal Presidente della Repubblica francese, Raymond Poincaré. Questi, dopo qualche giorno di concertazione con il Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Aristide Briand, non può che ribadire le condizioni francesi e ricorda a Sisto e Saverio che l’Intesa appoggia le ambizioni italiane sul Trentino e su Trieste. Il 23 marzo 1917, Sisto e Saverio sono nella residenza asburgica di Laxenburg, nei pressi di Vienna, insieme a Carlo e Zita. L’imperatore conferma la sua volontà di premere su Berlino fino al punto di rompere l’alleanza se il Kaiser non lo affiancherà nel mettere fine al conflitto. Ma Czernin si oppone di nuovo con fermezza. Ciononostante, Carlo trasmette una lettera formale autografa alle autorità francesi con il suo piano di pace e con la promessa di fare il possibile per un accordo con Berlino che lasci loro l’Alsazia. Czernin non la sottoscriverà e la mancanza della controfirma del ministro degli Esteri, come previsto dalla costituzione, renderà praticamente nullo l’atto del sovrano.
Nel frattempo, a Parigi, Aristide Briand è stato sostituito da Alexandre Ribot (1842-1923). Questi e Poincaré informano l’Inghilterra dell’offerta di pace di Carlo e a Folkestone, nel Kent, l’11 aprile informanoil conte David Lloyd George (1863-1945), Primo Ministro britannico.
A Lloyd-George il piano piace e ne informa immediatamente Re Giorgio V (1865-1936). Ribot è tuttavia convinto che bisogna mettere al corrente l’Italia delle trattative. Il 19 aprile, a Saint-Jean de Maurienne, in Savoia, Sidney Sonnino (1847-1922), si dichiara contrario ad ogni ipotesi di pace con l’Austria, facendo valere le clausole degli Accordi segreti di Londra del 25 aprile 1915, di cui era stato protagonista.
Il 22 aprile Lloyd-George consegnò a Sisto la risposta negativa degli Alleati, pur essendo personalmente favorevole a continuare la trattaiva.
Stranamente, vi erano stati contatti a Berna fra ambienti militari italiani e tedeschi, pare ispirati dalla cordata Vittorio Emanuele III (1869-1947), Giovanni Giolitti (1842-1928) — allora all’opposizione — e il generale Luigi Cadorna (1850-1928), evidentemente in disaccordo con il presidente del Consiglio in carica. Carlo, ancora all’oscuro dell’esito dell’incontro di Saint-Jean de Maurienne, anche se l’Italia sembrava ridimensionare le sue pretese limitandole al Trentino e alla Venezia Giulia fino ad Aquileia, quindi non Trieste e il Sudtirolo, preferì, forse commettendo un errore, però non aprire questo canale.
Appreso del fallimento del primo negoziato con i franco-britannici, Carlo il 9 maggio 1917 redasse una nuova lettera d’impegno, questa volta sottoscritta anche da Czernin, che fece recapitare da Sisto e da Erdődy a Neuchâtel. Nella lettera Carlo prendeva atto del ridimensionamento delle pretese italiane sul Tirolo, come da colloqui di Berna ispirati dalla monarchia italiana, e si dichiarava disposto a trattare su quella base. Czernin aggiungeva alla lettera una nota in cui chiedeva garanzie dell’integrità della monarchia in caso di pace e insisteva sulle aperture di politica interna che il governo di Vienna aveva in programma.
Ma, oltre al problema di Sonnino, il governo francese iniziava a propendere per l’intransigenza, per cui gli Alleati respinsero le offerte di Carlo. Così finiva la prima tranche di negoziati ufficiosi: una causa poteva anche essere la prese di conoscenza alleata del peggioramento dei rapporti fra Austria-Ungheria e Germania, proprio mentre da quest’ultima proprio in quei giorni venivano segnali di disponibilità al dialogo, che per gli Alleati occidentali era molto più appetibile di quello con Carlo. I contatti si protrassero nell’estate e nell’autunno 1917, ma senza esito. Anzi, per la sua disponibilità, il 22 ottobre Ribot sarà costretto a dimettersi.
Nuovi contatti fra emissari di Carlo — coinvolgendo anche la diplomazia spagnola: Alfonso XIII era figlio di un Borbone e di una Asburgo, quindi parente di Carlo e di Zita (1886-1941) — e i governi alleati furono avviati nell’autunno del 1917 in cui Carlo ampliava le concessioni all’Italia. Anche questa volta, nessun esito.
L’ultima tornata di trattative si svolge fra l’estate del 1917 e la primavera del 1918 e si basa sui colloqui che hanno in Svizzera due esponenti dei governi in lotta, il conte francese Abel Armand (1863-1919), membro dei servizi segreti militari, e il conte austriaco Nikolaus Maria Revertera-Salandra (1866-1951), amico personale di Carlo e diplomatico asburgico, ma plurinazionale — di origini catalane e napoletane, di lingua e cittadinanza tedesca, aveva sposato la principessa italiana Olimpia Aldobrandini-Borghese (1869-1928): Czernin sarà coinvolto ufficialmente. Sarà la Francia questa volta a fare il primo passo, ma le condizioni poste dall’Intesa, ancora del tutto intransigente sulla richiesta dell’Alsazia-Lorena, saranno però considerate troppo dure dagli austro-ungarici e l’intesa sfumerà. Il 25 febbraio 1918, dopo diverse tornate di colloqui, l’Impero di Carlo formulerà la sua piattaforma negoziale alla Francia.
Ma, nel frattempo, dal 28 — terzo anniversario della morte di Francesco Ferdinando — al 30 giugno 1917 ha luogo a Parigi il convegno delle logge massoniche dei Paesi dell’Intesa e neutrali — forse l’elemento intangibile più decisivo —, 18 Grandi Orienti e Grandi Logge dalla Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Svizzera, Belgio, Serbia, Argentina e Brasile, da cui emerge la decisione di chiedere all’Intesa — i cui rappresentanti si riuniranno il mese successivo — la guerra a oltranza e la dissoluzione dell’Austria-Ungheria. Le logge stesse premeranno sulle logge delle varie capitali dell’Impero austro-ungarico perché insistano non più sull’autonomia o sull’equiparazione con tedeschi e ungheresi, bensì sull’indipendenza nazionale.
Poco dopo gli Stati Uniti entrano in guerra — una pace separata con l’Austria avrebbe reso inutile lo sbarco americano e probabilmente frustrato i piani di Wilson di ingerenza nel Vecchio Continente —; i russi si arrendono e gli Imperi centrali, non più costretti a combattere su più fronti, possono spostare grossi contingenti di truppe dal fronte russo a quello occidentale, sperando nella “spallata” definitiva; la Francia elegge l’intransigente radicale, ma non massone, Clemenceau a capo del governo in nome della guerra a oltranza…
Quindi le trattative passano in secondo piano, anche se non si arenano.
L’ultimo round di contatti, su altro tavolo, sarà fra austro-ungarici e britannici: alla fine del 1917 si incontreranno in Svizzera il conte Albert von Mensdorff-Pouilly-Dietrichstein (1861-1945), ex ambasciatore austriaco a Londra e il generale sudafricano Jan Christiaan Smuts (1870-1950), anch’egli ex ambasciatore a Londra. Le condizioni alleate verteranno questa volta apertamente sul distacco dell’Austria dalla Germania, sulla concessione della piena autonomia dei popoli danubiani e slavi, la seconda senz’altro in tesi praticabile, la seconda palesemente no.
Tuttavia, il 2 aprile 1918 Czernin, in un discorso “sopra le righe” al consiglio comunale di Vienna, forse inebriato dai successi sul fronte italiano dopo Caporetto, esaltò l’amicizia austro-germanica e si lascerà sfuggire la notizia di una offerta di pace da parte della Francia. La cosa fu risaputa in Francia due giorni dopo e fece montare su tutte le furie Clemenceau. In effetti, il ciclo di contatti più ampio, quello dell’estate precedente era stato avviato da Carlo e non da Ribot. Allora, per mettere Vienna contro Berlino, rese pubblica la prima lettera di Czernin e Carlo, quella del 24 marzo 1917, in cui, nelle note aggiuntive autografe, si leggeva della disponibilità dell’Austria-Ungheria ad abbandonare la Germania, all’occorrenza. L’iniziativa sollevò un polverone, Vienna fu costretta a dichiarare che la lettera era un falso; Czernin, che ignorava le glosse “più aperte” apposte da Carlo, chiederà al sovrano una smentita della autenticità della lettera, arrivando fino a minacciarlo di scatenargli contro il Kaiser — e le sue truppe — e a ricattarlo. Carlo, dopo un acceso colloquio dopo il quale, come racconta Zita, avrà un attacco di cuore, dovrà accettare e la sua reputazione internazionale subirà un deciso declino, sia agli occhi degli Alleati, sia a quelli della Germania. Anzi, Czernin cercherà d’indurre il sovrano ad abdicare, almeno pro tempore, a favore di un altro arciduca asburgico. E Carlo, umiliato e scosso, avrebbe anche accettato, se non fosse stato per la decisa opposizione di Zita, che lo indurrà invece a licenziare in tronco il ministro degli Esteri. L’11 marzo Carlo incontrerà Guglielmo II a Spa, in Belgio, al quartier generale tedesco, e firmò un documento di amicizia che ventilava un embrione di satellizzazione dell’Impero al Reich tedesco: «[…] l’Austria stava diventando una seconda Baviera», commenta Fejtő.
Quest’ultimo, per boicottare i negoziati, renderà pubblica la seconda lettera di Carlo all’Intesa e scatenerà un putiferio contro l’imperatore austriaco. Carlo negherà e licenzierà Czernin. Ma la frittata, irresponsabilmente, è fatta…
Il 25 giugno 1917 il principe Sisto di Borbone-Parma rientra al suo reggimento: fatto prigioniero sul fronte italiano, sarà liberato nel 1919.
3.5 I negoziati Armand-Revertera
Il piano di pace contenuto nell’appello di papa Benedetto XV del 1° agosto rifletterà in gran parte le proposte maturate nei mesi precedenti e cercherà di dare loro una forma che renda possibile la loro accettazione da parte di tutti i contendenti.
Carlo risponderà positivamente all’appello e approverà il piano di pace: francesi, inglesi, americani, italiani e tedeschi invece no.
L’iniziativa austro-ungarica in questa fase s’incentra sui colloqui fra due delegati: Armand e Revertera.
Non sarà la fine dei contatti di pace fra i due schieramenti, che proseguiranno fino a 1918 inoltrato sia per la rinnovata iniziativa austro-ungarica, sia a opera dei tedeschi, sia, ancora, per il costante stimolo e la ripetuta offerta di mediazione vaticana. Ma il “momento magico” è ormai alle spalle, la situazione sul campo è mutata, lo scontro si configura sempre più come una gara di resistenza dove il più debole alla fine soccomberà.
4. Conclusioni
Questa è in breve la vicenda dei tentativi di Carlo e del Papa di porre fine al conflitto. Da essi emerge chiara la volontà di pace, spinta fino all’eroismo, del sovrano austro-ungarico, la sua umiltà, la sua chiara ispirazione evangelica e la sua genuina derivazione dalla concezione cristiana dell’autorità come servizio al bene comune del popolo che lo animava. E credo anche che la santificazione di Carlo sia dipesa in grande misura da questo suo atteggiamento.
Il fallimento delle trattative di pace culminate nell’annus horribilis 1917 farà sì che l’Europa debba affrontare un altro, terribile inverno di guerra e un altro anno di stragi indiscriminate — con un trend crescente di vittime e danni, che gli ulteriori sviluppi degli armamenti consentiranno — prima che le ostilità cessino.
L’Europa uscirà dalla tremenda e prolungata prova della Grande Guerra con le reni spezzate. La sistemazione che a Versailles quei governi che follemente non avevano voluto la pace nel 1917 daranno al Continente ricalcherà la medesima follia di allora e, scatenando il revanscismo hitleriano e un nugolo di altri accesi nazionalismi, come quello polacco, porrà le basi per lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale, che farà anch’esso milioni di vittime, raderà al suolo le città tedesche, coinvolgerà decine di Stati vecchi e nuovi in teatri operativi remoti, consegnerà per quasi mezzo secolo milioni di europei dell’est al comunismo, aprirà al mondo l’era della barbarie nucleare. Ma l’Austria, assorbita dalla Germania hitleriana nel 1938, non ci sarà più né come impero e neppure come Stato indipendente, anche se migliaia e migliaia di austriaci — inclusi fra loro, dall’8 settembre 1943, i trentini e i sudtirolesi — moriranno sui vari fronti nei ranghi della Wehrmacht e delle Waffen SS.
Chissà, forse — ma è un “forse” solo prudenziale… —, se Benedetto e Carlo fossero stati ascoltati, le cose sarebbero andate diversamente…
Bibliografia:
Gordon Brook-Sheperd (1918-2004), La tragedia degli ultimi Asburgo, Rizzoli, Milano 1974.
Mario Carotenuto, Carlo I d’Austria e la pace sabotata. Ragioni e conseguenze del fallimento delle trattative di pace nella Grande Guerra, Fede & Cultura, Verona 2010.
François Fejtő (1909-2008), Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, introduzione di Sergio Romano, Mondadori, Milano 2002.
Elisabeth Kovács (1930-2013), Untergang oder Rettung der Donaumonarchie?, 2 voll., Böhlau Wien 2004 (vol. I: Die österreichische Frage. Kaiser und König Karl I. (IV.) und die Neuordnung Mitteleuropas; vol. II: Politische Dokumente zu Kaiser und König Karl I. (IV.) aus internationalen Archiven).
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