San Pio V e la battaglia di Lepanto

Lezione tenuta il 12 gennaio 2006

Lucia Martinucci

San Pio V e la battaglia di Lepanto

Sono stata incaricata, questa sera, di parlarvi brevemente di San Pio V. Il motivo della scelta di questo personaggio, come caratteristico dell’epoca e degli avvenimenti di cui stiamo parlando, spero vi sarà chiaro alla fine, ma vi anticipo fin da adesso che può essere preso come un vero esempio. Aprendo un brevissima parentesi, il fatto che un Santo sia additato come esempio non ci deve assolutamente sorprendere: sappiamo, infatti, che la Chiesa ci aiuta, proponendoci dei personaggi che, certamente, si sono comportati santamente e quindi hanno ottenuto ciò che noi tutti ricerchiamo, cioè la salvezza eterna, e ce li indica, quindi, come esempi da seguire per santificarci a nostra volta. San Pio V, però, non solo ha, diciamo, rispettato i dieci comandamenti, ma ha vissuto rettamente anche gli alti incarichi pubblici di cui fu investito. È un esempio, quindi, non solo spirituale (non facciamoci “ingannare” dal fatto che fosse Papa), ma anche, possiamo dire, sociale e politico.

Per darvi qualche nozione biografica di questo grande uomo, Michele (questo il nome al secolo) nacque in un paesino in provincia di Alessandria, Bosco Marengo, il 27 gennaio 1504, da una nobile famiglia, i Ghislieri, che facevano parte di quella nobiltà antica e quindi decaduta. Fino ai 14 anni, infatti, visse facendo il pastore finché, appunto nel 1518, entrò tra i Domenicani. L’anno successivo emise i voti solenni, poi completò gli studi a Bologna e, nel 1528, fu ordinato sacerdote. Insegnò filosofia e teologia per sedici anni, successivamente fu priore nei conventi di Vigevano e di Alba, poi venne nominato Inquisitore a Como, per arrestare le ideologie protestanti che si insinuavano anche in Lombardia.

Fu inoltre nominato commissario generale del Sant’Ufficio dal futuro Papa Paolo IV, che lo elesse, successivamente alla sua elezione pontificia, prima Vescovo, poi Cardinale, nel 1557, con carica di inquisitore generale di tutta la cristianità. Questo però non cambiò la sua condotta di vita: non smise mai la veste di domenicano, osservò i digiuni e visse in tutto e per tutto con l’austerità del chiostro. Per farvi capire la sua personalità, vi leggo una parte di una lettera che scrisse, poco dopo essere stato nominato Cardinale, ad una sua nipote. Dice: “Guardati bene dal prender boria perché sei nipote di un cardinale. Il grado che io tengo nella chiesa ti deve essere un motivo di ringraziar Dio e un nuovo obbligo a vivere nella virtù. […] Tu non devi bramare che Dio m’innalzi maggiormente in questo mondo. Tu non vedi che lo splendore della mia nuova dignità, e ignori quali cure, inquietudini ed afflizioni essa mi procacci, da cui ero felicemente al sicuro nel chiostro”. Era quindi un uomo che non ricercava la gloria o gli onori, ma la santità, la virtù; era piuttosto rigoroso, di quel rigore tipico delle persone molto esigenti verso se stessi, ma molto amorevoli nei confronti del prossimo; nella Storia Universale della Chiesa Cattolica si dice infatti: “Rispetto alla sua affabilità, era sempre lo stesso così con coloro che andavano a lui per trattare affari, come con quelli che lo venivano ad importunare. Non rifiutò mai udienza ad alcuno, ed ogni fatto della sua condotta faceva comprendere che Dio l’aveva sempre maggiormente innalzato affinché dalla sua altezza egli potesse servire, istruire ed edificar molte più persone”. Aveva assolutamente chiaro che l’autorità significa responsabilità e servizio. Fu un pastore molto attento, ma sempre nel rispetto della legge e della disciplina; attento a ridare un ordine, non esclusivamente morale, ad un gregge e ad una terra, in generale, devastati e abbruttiti dagli orrori della guerra. Non agiva però semplicemente imponendo ordini o leggi, ma prima di tutto dava l’esempio lui stesso, con il suo comportamento, la sua vita e quella di tutto il suo palazzo. Con questi metodi riformò i costumi della sua Diocesi, ridandole almeno un po’ dell’antico splendore.

Alla morte di Pio IV, quando i cardinali si riunirono in Conclave, furono in un primo tempo proposti altri nomi, che però non ottennero il consenso necessario. Quando fu nominato Ghislieri, invece, il consenso fu unanime. L’unico non d’accordo era proprio quello che dì lì a poco sarebbe diventato Pio V, tanto che, sempre nella Storia Universale della Chiesa Cattolica, si legge: “Egli ricorse alle preghiere e alle lagrime per isfuggire a così terribil peso. Ma sempre gli si rispondeva ch’egli non poteva rifiutare i suoi servigi alla chiesa senza resistere allo spirito santo che lo aveva eletto”. Alla fine i cardinali elettori lo convinsero e pronunciò il solenne “Noi accettiamo” il 7 gennaio 1566, prendendo il nome di Pio V, a memoria del suo predecessore.

Ora, che cosa stava succedendo in Europa nel 1566?

In Europa era in pieno svolgersi quella che il dottor Plinio Corrêa de Oliveira, nel suo saggio “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, chiama la prima Rivoluzione, cioè la Rivoluzione Protestante.

Questa nasce nel 1517 con l’affissione, da parte di Martin Lutero, delle 95 tesi alla porta della cattedrale di Wittenberg, ma si estende poi in modi diversi in altri paesi dell’Europa, con conseguenze diverse per quanto riguarda i rapporti tra Chiesa e Stato, anche se tutti i tipi di Rivoluzione minano e sconvolgono dal profondo questi rapporti.

Riprendendo solo brevemente quello che è stato già ampiamente detto nelle lezioni precedenti, ripercorriamo le tre principali correnti protestanti che presero forma e vediamo nello specifico, per ognuna di esse, come minacciò la libertà della Chiesa, come interessa a noi più da vicino, nell’ambito del nostro percorso.

Richiamiamo, prima di tutto, il luteranesimo: Lutero, partendo dal pretesto della vendita delle indulgenze, voleva contestare in realtà il principio della plenitudo potestatis del Papa, voleva cioè ribellarsi all’autorità tradizionale dei papi sulla Chiesa. Viene per questo scomunicato dal Papa, ma questo non lo ferma, perché rifiuta la scomunica e, anzi, si fa pubblicità, servendosi del nuovo mezzo di comunicazione, che è la stampa, per propagandare le sue idee eretiche. L’Imperatore, Carlo V, sostenuto dai principi cattolici, tenta di resistere e fermare il dilagare di questa dottrina, ma Lutero è sostenuto ed aiutato anche apertamente, materialmente, da alcuni principi tedeschi. Perché Lutero cerca questo tipo di protezione e che conseguenze ha? Cerca la protezione del potere civile sia per la sopravvivenza, sia perché era un ottimo terreno su cui diffondere, appunto, le sue idee. La conseguenza principale fu che, mentre la Chiesa, nei suoi rapporti con il potere civile, tentò sempre di acquistare, fino ad allora, una certa autonomia, e infatti aveva la supremazia spirituale sugli stati cristiani, la Chiesa riformata invece nasceva sostenuta dal potere secolare, e nutrita dallo stesso, stringendo un legame di sudditanza e di inferiorità dal quale non riuscirà più a liberarsi, soprattutto dopo il 1555, con la Pace di Augusta e il principio, di cui abbiamo già parlato diffusamente in altre lezioni, del cuius regio eius religio: questo principio segna ancora più chiaramente, infatti, la supremazia del potere civile su quello spirituale. La dottrina luterana si estese, poi, anche alla Danimarca e all’intera Scandinavia, sostenuta e incoraggiata da alcuni sovrani.

Ancor più brevemente facciamo accenno anche ad un’altra riforma, cioè quella anglicana. In Inghilterra, infatti, le cose andarono molto diversamente, in quanto non c’è nessun coinvolgimento di popolo, non viene richiesto nessun consenso di massa, ma è in gioco quasi esclusivamente la personalità del sovrano, Enrico VIII. Egli infatti, dopo i primi screzi con l’autorità papale (voleva il permesso di ripudiare la sua prima moglie perché questa non era in grado di dargli l’erede di cui aveva bisogno, ma il Papa glielo negò), decise di rivolgere il suo pensiero contro il pontefice, in una intensa attività anti-cattolica. Il suo scopo era quello di sostituire l’autorità papale con la propria e, in questo modo, assoggettare completamente la Chiesa allo Stato. Riuscì, almeno parzialmente, nella sua impresa, combattendo la resistenza del clero e dei fedeli con la repressione, finanziata dalle confische degli stessi monasteri e proprietà della Chiesa. Anche la figlia, Elisabetta I, assunse un atteggiamento decisamente anticattolico e seguì con determinazione la politica del padre.

Intanto, in Francia, la monarchia rimaneva fermamente cattolica e, anzi, perseguiva i riformatori eretici. Malgrado ciò, Calvino tentava di imporre la sua riforma, ma si accorse ben presto che non avrebbe interessato la corona alla causa rivoluzionaria e quindi non poteva contare sul potere temporale. La sua chiesa riformata, quindi, nacque e rimase indipendente dallo stato, che anzi veniva considerato con disprezzo dall’alto della morale. Calvino venne esiliato dalla Francia e si rifugiò a Ginevra, dove trovò le condizioni per poter mettere in pratica queste sue teorie, cioè la completa subordinazione del potere civile a quello spirituale, anche nella prassi di governo. La chiesa calvinista, in conclusione, non ha mai cercato l’indipendenza o la superiorità, ma ambiva direttamente al potere e al controllo totale sullo stato.

La chiesa riuscì a reagire a queste diverse forme di eresia solo nel 1545, con il Concilio di Trento, convocato con lo scopo di intraprendere una vera opera di epurazione della Chiesa, infonderle nuovo fervore nella difesa della tradizione cattolica, con spirito non solo puramente difensivo. Quella che nei libri di storia ci viene proposta con il nome un po’ dispregiativo di Controriforma fu, in realtà, un impulso nuovo e dinamico che intendeva restituire alle istituzioni il loro significato e promuoveva il ritorno all’unità. Fu, quindi, più una Riforma Cattolica che una Controriforma, anche se certamente era anche (ma, ripeto, non solo) una modalità di reazione alla Rivoluzione protestante.

Dunque nel 1566, quando Pio V salì al pontificato, l’Europa era dilaniata sia fisicamente che spiritualmente, cioè sia da guerre che da eresie.

Ora, torniamo a illustrare più in particolare sulla vita di San Pio V. Abbiamo già detto qualcosa su di lui e sulla sua personalità, ma per capire l’importanza della sua azione in tutta l’Europa cristiana e il suo ruolo nella Riforma Cattolica bisogna partire, proprio come fece lui stesso, come già abbiamo accennato prima, dalla sua vita privata. Egli infatti ebbe il grandissimo merito di mettere in pratica quello che era stato detto nel Concilio di Trento, e di far trovare applicazione pratica ai principi che erano stati enunciati.

Cominciò infatti con la riforma della propria vita e della propria corte. Vi cito ora solo un esempio di gesti che mise in atto, anche se in realtà ne fece molti e anche molto grandi. Questo aneddoto che ho scelto fu il primo, da quando diventò Papa: scelse di non seguire la consuetudine di festeggiare l’elezione gettando del denaro dalla finestra, verso il popolo, perché di solito erano i ricchi quelli che ne traevano maggiori vantaggi, quelli che sgomitavano facendosi strada tra la folla e calpestando i bisognosi; Pio V invece diede ordine di distribuire quella stessa somma destinata al popolo direttamente ai più poveri, ai monasteri, alle famiglie, ai malati. Sulla Storia Universale della Chiesa Cattolica si legge, in proposito, che: “si applicò [aggiungo io: da subito!] a far comprendere che le prodigalità del fasto sarebbero quindi innanzi mutate nelle magnificenze della carità. […] Egli vide che la riforma generale che meditava doveva cominciare da quella della sua propria corte e della sua capitale”. Come abbiamo detto, cominciò con il dare l’esempio. Come non si può convincere un altro se non si sostiene e non si crede in prima persona a quello che si sta proponendo, così san Pio V scelse di incarnare in prima persona le virtù che voleva ristabilire e attraverso le quali voleva infondere nuova vita alla cristianità minacciata. Si impose subito al rispetto e all’ammirazione di tutti per la pietà, l’austerità e l’amore per la giustizia; come è riportato in ogni sua biografia, continuò sempre a portare il saio domenicano, a dormire sopra un pagliericcio, a vivere di legumi e frutta, a dedicare tutta la sua giornata al lavoro e alla preghiera. Sempre nella SUdCC si legge: “Egli, che dispensava i tesori e il perdono della chiesa, non volea guadagnarli che colla mortificazione”. Molto esigente verso se stesso ma molto amorevole nei confronti del prossimo, come abbiamo già detto. “Sendo compiuta la prima cura, quella di edificare coll’esempio, rimanevano da combattere ne’ costumi de’ popoli molti vizi e da distruggere molti scandali”; quindi partire, certo, dall’esempio, ma per allargare la riforma a tutta la cristianità. Convocò infatti i cardinali e gli alti prelati e, “in paterne esortazioni”, parlò loro di come “ammansare la collera di Dio, di arrestar gli eretici che combattevano la chiesa ed i musulmani che, sulle rovine di lei [la Chiesa], distendevano l’impero della barbarie”. Secondo san Pio V il metodo “era primieramente di regolar la propria coscienza e la propria casa”. Niente di nuovo, quindi. Ma dicevamo che uno dei suoi grandi pregi fu quello di attuare le disposizioni impartite dal Concilio di Trento. Vi elenco, allora, un po’ di riforme che sostenne.

Ai sacerdoti furono interdetti la simonia, gli spettacoli, i giochi, i banchetti pubblici, l’accesso alle taverne. Ai vescovi fu imposto un previo esame per l’accertamento sulla loro idoneità, la residenza, pena la privazione del loro titolo, la fondazione dei seminari e l’erezione delle Confraternite di catechismo.

Per quanto riguarda la curia, fu organizzata la Penitenzieria, venne creata la Congregazione dell’Indice per l’esame dei libri contrari alla fede; San Pio V intervenne personalmente alle sessioni del Tribunale dell’Inquisizione e, due volte la settimana, diede udienza al popolo per dieci ore consecutive. Le sue preferenze andavano ai poveri che ascoltava pazientemente, confortava e aiutava con soccorsi pecuniari. Il papa si compiaceva pure di prendere parte alle pubbliche manifestazioni di fede – nonostante fosse malato di calcolosi – di visitare gli ospedali, di curare egli stesso i malati e di esortarli alla rassegnazione.

Per l’uniformità dell’insegnamento, il Concilio Tridentino aveva richiesto che fosse redatto un testo chiaro e completo della dottrina cristiana. Pio V ne affidò la redazione a tre Frati Predicatori e lo fece stampare nel 1566. L’anno successivo proclamò S. Tommaso d’Aquino Dottore della Chiesa, obbligò le Università allo studio della Somma Teologica e nel 1570 fece stampare un’edizione completa e accurata di tutte le opere del santo. Per dire che si occupò anche e bene dell’aspetto culturale e pedagogico.

Nel campo della Liturgia si deve a lui la pubblicazione di un nuovo Breviario e di un nuovo Messale; nel campo della Musica la nomina del Palestrina a Maestro della cappella pontificia; nel campo delle Missioni, l’invio di religiosi nelle “Indie orientali e occidentali” e l’invito agli spagnoli di non scandalizzare gli indigeni delle loro colonie.

Per migliorare la moralità del popolo romano punì l’accattonaggio e la bestemmia, vietò il combattimento di tori e il carnevale, espulse da Roma un grande numero di cortigiane, impose un limite al lusso e alle spese che si facevano in occasione di feste; favorì i Monti di Pietà per sottrarre i cattolici dalle usure degli ebrei, ai quali permise soltanto di risiedere in appositi quartieri della città sottoposti a particolari leggi. Pur non avendo molta attitudine per l’amministrazione dello Stato, non trascurò il benessere dei cittadini tracciando strade, costruendo acquedotti, favorendo l’agricoltura, facendo bonifiche, migliorando le fortezze di difesa, curando molto gli ospedali. Gli effetti della sua condotta si allargarono sempre più anche al di fuori di Roma, tanto che strinse una convenzione con il Vicerè di Napoli e con la Toscana per punire i malfattori. Abbiamo anche una testimonianza di come cambiarono le cose a Roma, dell’efficacia quindi dell’azione di san Pio V: ce la dà un signore tedesco, a Roma appunto per testare lo stato delle cose, che scrive una lettera ad un principe tedesco. Questo scrive: “Come le cose sono diverse nella realtà da quello che sono nella bocca degli empi che non cessano di diffondere la calunnia! […] Tuttavia non mi tacerò e, finché vivrò, a vergogna di satana e a confusione di tutti i suoi ministri, attesterò con viva voce e per iscritto, pubblicamente e innanzi al mondo intero, che io vi ho veduto in questo tempo le opere più luminose della pietà e della penitenza”. Questo per dire che l’esempio paga e che la Verità, se le si presta i mezzi, come ci richiede, si fa sentire a gran voce e converte anche i cuori che sembravano più duri.

Per quanto riguarda quella che oggi si chiamerebbe la “politica estera” e quindi la risposta agli sconvolgimenti che erano in atto e di cui abbiamo accennato prima, Pio V scomunicò e depose la regina d’Inghilterra, Elisabetta I, per la morte di Maria Stuart ; mandò in Germania un Legato per impedire che l’imperatore Massimiliano II si sottraesse alla giurisdizione della Santa Sede; inviò milizie proprie in Francia a combattere contro gli ugonotti; esortò Filippo II, re di Spagna, a reprimere il fanatismo degli anabattisti nei Paesi Bassi; condannò gli errori di Michele Baio, precursore del giansenismo.

Ma San Pio V è forse famoso, più che per tutte queste cose, per essere il Papa della Battaglia di Lepanto. E vedremo che, in effetti, il suo apporto a questo importantissimo avvenimento fu certamente decisivo e molto importante anche nell’ottica della Libertà della Chiesa. Sappiamo infatti che la battaglia di Lepanto venne combattuta contro i Turchi, e ci è stato confermato più volte, anche nelle lezioni dell’anno scorso della Scuola di Educazione Civile, che dove c’è Islam c’è pochissima libertà, soprattutto per la Chiesa. Ma lo vedremo meglio dopo, traendo le conclusioni. Ora, nello specifico della battaglia di Lepanto, è importante ricordare che la situazione politica era piuttosto instabile: la Francia, pur di mantenere un atteggiamento antiasburgico, non esitava ad appoggiarsi ai principati protestanti e vedeva quasi come un sollievo la minaccia turca nel Mar Mediterraneo; in questo stesso mare, poi, si scontravano gli interessi di Venezia, preoccupata dagli attacchi dei sultani alle sue postazioni nello Ionio e nell’Egeo, e della Spagna, impegnata, sempre contro i Turchi, nella parte occidentale; l’impero invece doveva far fronte all’espansione, sempre dei turchi, alle frontiere ungheresi. Non fu facile, ma San Pio V, fedele allo spirito di crociata e perfettamente consapevole della minaccia turca, si adoperò in ogni modo per appianare i contrasti tra le potenze cristiane e per spingerle a uno sforzo comune. Colse l’occasione dell’attacco a Cipro, nel 1569, per superare la politica, ormai insufficiente, dei piccoli e occasionali aiuti, anche perché lui, fin dall’inizio, voleva fortemente la costituzione di una vera e propria Lega. Le trattative furono molto lente, perché era necessario superare interessi divergenti, ma alla fine fu firmata la Sacra Lega, il 20 maggio 1571. Fu anche realizzata a tempo di record, tanto che la flotta cristiana fu presto pronta per andare a cercare quella turca, la quale, dopo essersi spinta fino a metà Adriatico, era rientrata a Lepanto, per imbarcare nuovi equipaggi e nuovi viveri. La battaglia avvenne quindi nel golfo di Lepanto (l’odierno golfo di Corinto), il 7 ottobre 1571, durò da mezzogiorno alle cinque e si concluse con la completa vittoria dei cristiani, un po’ a sorpresa, perché i Turchi erano molto più numerosi e la loro temibile armata era divenuta ormai famosa, ma bisogna anche dire che già qualche anno prima, nell’assedio di Malta del 1565, Solimano il magnifico era stato sconfitto, costretto a ritirarsi, e con lui anche il mito della sua invincibilità. Senza soffermarci troppo sulla battaglia di Lepanto, sappiate che nelle cronache vengono raccontati numerosissimi episodi di eroismo, soprattutto da parte cristiana.

Per darvi un’idea delle proporzioni della battaglia (non fu una scaramuccia) i caduti cristiani furono circa 9 mila, quelli turchi furono 30 mila, e varie altre migliaia quelli catturati, soltanto 30 navi turche riuscirono a fuggire; delle altre, 117 catturate e divise tra gli Stati membri della Lega e le rimanenti andarono distrutte.

Un aneddoto che ha però probabilmente pieno fondamento è che San Pio V, quel pomeriggio, si stava occupando di conti con il suo tesoriere, quando improvvisamente si alzò, andò alla finestra, rimase alcuni istanti con lo sguardo rivolto a oriente, e poi disse: “Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria”.

A ricordo dell’avvenimento, che cambiò il corso della storia, fu introdotta la festa del Rosario. Il senato veneto fece dipingere la scena della battaglia di Lepanto nella sala delle adunanze con la scritta: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit“, cioè “non il valore, non le armi, non i condottieri ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori“. Si dice anche che il re Filippo II stesse assistendo ai vespri nella cappella del suo palazzo quando entrò l’ambasciatore veneziano, proprio mentre veniva intonato il Magnificat, gridando “Vittoria! Vittoria!”, ma il re non volle che si interrompesse la sacra funzione. Solo al termine fece leggere il dispaccio e intonare il Te Deum, segno che si manteneva il senso della esatta gerarchia della storia in una buona prospettiva cattolica.

Ora, perché la battaglia di Lepanto fu così importante per la cristianità? Questa domanda non è corretta, o, meglio, non è posta bene; in realtà bisognerebbe chiedersi, per capire la portata dell’avvenimento, cosa sarebbe successo se la vittoria non ci fosse stata o, peggio, se ci fosse stata una sconfitta. Ebbene, non solo tutte le posizioni veneziane nei mari Egeo, Ionio e Adriatico sarebbero cadute, ma la stessa intera Italia, probabilmente anche la Spagna e forse l’attuale Germania sarebbero state in mano ai turchi e, in generale, tutta l’Europa avrebbe continuato ad essere fortemente minacciata da questa loro incombente presenza. Come abbiamo anticipato prima, non c’è libertà sotto il dominio islamico, soprattutto per la Chiesa. Ne è presto spiegata, quindi, l’importanza fondamentale, anche riguardo al filo conduttore dei nostri incontri.

Concludendo con una formula che è nota a chi conosce il canto, molto caro all’Associazione, intitolato “San Giorgio”: “anche a Lepanto se hanno vinto fu il Rosario di San Pio V”; continuiamo quindi anche noi a ringraziare la Vergine per questa importante vittoria e per questo grande Papa, che si lasciò usare come mezzo dello Spirito Santo.

L’unica disdetta, forse, per voi, è che se avesse vinto l’Islam probabilmente non esisterebbe la Scuola di Educazione Civile, ma soprattutto ad una ragazza non sarebbe stato permesso di annoiarvi così, stasera. Grazie.

 


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